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Alla scoperta di Unai Emery, l’allenatore spagnolo del Villarreal, giunto alla sua quinta finale di Europa League e pronto a stabilire un nuovo record di vittorie nella competizione

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Non è un caso che il Villarreal, in una stagione da settimo posto nella Liga, sia riuscito ad arrivare in finale di Europa League: l’uomo del destino si chiama Unai Emery, tre volte vincitore di questa competizione con il Siviglia e alla sua quinta finale (nel 2019 l’ha raggiunta anche con l’Arsenal).

Cinque anni fa era considerato uno degli allenatori più talentuosi e quotati del mondo, ma le stagioni passate a Parigi e Londra hanno danneggiato la sua immagine di vincente (nonostante, per paradosso, i risultati raggiunti), costringendolo a tornare in Spagna e ripartire da un club non di primissimo piano per rilanciarsi.

Il mago di provincia

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La storia di Unai Emery incomincia nell’autunno del 1971 a Hondarribia, un paese di 15mila abitanti circa nei Paesi Baschi, e sostanzialmente resterà a lungo legata alla provincia e al calcio più lontano dai riflettori. Centrocampista, diventa professionista con la Real Sociedad, ma appare presto chiaro che non ha il talento da giocatore di prima divisione, e la sua carriera si sposta così nelle serie minori: prima al Toledo, a cui lega gli anni migliori, poi al Racing Ferrol, al Leganés e al Lorca, dove nel 2005 appende gli scarpini al chiodo e passa in panchina.

E fin da subito appare evidente che sia questa la sua strada: il club murciano adotta subito uno stile di gioco aggressivo che gli permette di ottenere un’inattesa promozione in Segunda Division e, da neopromossa, sfiorare la conquista della Liga. Unai Emery si sposta così nel più ambizioso Almeria, e centra subito il secondo posto e l’ascesa in prima divisione. E di nuovo, alla prima annata in una categoria superiore, il basco sfiora un’altra impresa, mancando per pochi punti la qualificazione europea e imponendo all’attenzione generale giocatori come Diego Alves, Felipe Melo, Albert Crusat e Alvaro Negredo.

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Nel maggio del 2008, a soli 36 anni, diventa il più giovane allenatore della storia del Valencia: in quattro stagioni, valorizza la massimo giocatori come David Villa, David Silva, Juan Mata, Roberto Soldado, e lancia le carriere ad alto livello di Jeremy Mathieu, Jordi Alba ed Ever Banega (che diventerà il suo pupillo). A Valencia conquista tre terzi posti in Liga, un ottavo di Champions League e una semifinale di Europa League, ma resta a secco di titoli e alla fine viene licenziato, accettando un’assurda chiamata dalla periferia del calcio europeo, accordandosi con lo Spartak Mosca. La sua avventura russa, però, durerà appena sei mesi.

Il dominio dell’Europa

La fama internazionale di Unai Emery è dovuta essenzialmente a quanto fatto col Siviglia tra il 2013 e il 2016 dove, nonostante in campionato non sia mai andato oltre il quinto posto, riesce a mettere in bacheca tre Europa League consecutive. Sono gli anni in cui si consacrano giocatori come Ivan Rakitic, Grzegorz Krychowiak, Vitolo, Kevin Gameiro, Steven Nzonzi e Carlos Bacca, e attorno a cui si costruisce il mito del direttore sportivo Monchi.

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Divenuto uno dei tecnici più stimati in circolazione, Emery venne scelto per guidare la corazzata Paris Saint-Germain, ma nonostante i sette titoli vinti in due anni, il feeling con l’ambiente parigino non sboccia, a causa della deludente sconfitta in campionato nel 2016/17 e delle anonime prestazioni in Champions League.

Riparte così dall’Arsenal, dove raggiunge la sua quarta finale di Europa League (persa contro il Chelsea di Maurizio Sarri), ma si ferma al quinto posto in campionato. Trovatosi in un altro ambiente caotico e con fortissime pressioni, Unai Emery è nuovamente al centro delle critiche, e nel novembre 2019 viene esonerato. Così, nel luglio successivo, torna in Spagna per guidare il Villarreal.

Unai Emery, come gioca

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Se c’è una caratteristica che incarna alla perfezione l’idea di calcio di Unai Emery è il pressing. L’organizzazione della fase di non possesso volta al recupero immediato del pallone e alla ripartenza è ciò che ha fatto la sua fortuna fin dalle prime uscite: “Quando facciamo le esercitazioni tattiche, io ho già studiato gli avversari e di conseguenza alleno i miei di volta in volta su come, quando e dove pressarli. – spiegava, nel 2016, a TuttosportBisogna essere protagonisti del gioco con il pallone e avere sempre una pressione intensa con l’obiettivo di recuperare palla il più velocemente possibile”.

Parlare di moduli, con lui, ha poco senso, perché nella sua carriera ne ha cambiati molti: pur dimostrando di preferire 4-2-3-1 e 4-3-3, all’Arsenal lo si è visto utilizzare spesso un 4-4-2 alterato con doppio trequartista, schema riprodotto di frequente con il Villarreal. Il suo calcio ricerca la profondità più del fraseggio orizzontale, ma la capacità nei passaggi è fondamentale, a partire dal portiere, come dimostra il rendimento ottenuto negli anni da giocatori come Diego Alves e Sergio Rico, così come oggi da Geronimo Rulli.

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Il gioco di Unai Emery sfrutta tantissimo le corsie laterali e gli inserimenti dei terzini, e anche qui la sua storia racconta di grandissimi giocatori affermatisi grazie a lui in questo ruolo. Ma il vero cuore della squadra resta la regia: Rakitic e Banega sono due perfetti esempi, e in particolar modo l’argentino, che senza Emery è sempre sembrato un giocatore completamente diverso rispetto agli anni a Valencia e Siviglia.

Un altro aspetto rilevante dell’idea di calcio del basco è il rapporto che riesce a instaurare con i suoi giocatori, al punto da richiamarli spesso nelle sue varie esperienze: Diego Alves dall’Almeria al Valencia, Banega dal Valencia al Siviglia, Krychowiak dal Siviglia al PSG, Denis Suarez dal Siviglia all’Arsenal. La stessa cosa vale ancora oggi al Villarreal, dove ha ritrovato due suoi giocatori degli anni andalusi, Vicente Iborra e Carlos Bacca, completamente rivitalizzati dopo le ultime stagioni sottotono.

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