La storia della vittoria dell’Italia negli Europei del 1968, tra una monetina che cade dal lato giusto e una finale incredibilmente ripetuta.
Estate 1968. I venti rivoluzionari si innalzano da ogni parte di un mondo che prometteva cambiamenti epocali, stravolgimenti totali. Nuove speranze, rinnovati entusiasmi, la volontà di sovvertire l’ordine storicamente determinato. È l’estate dei gridi disperati, delle voci che con trepidazione reclamano un mondo nuovo, migliore.
Per molti è stato il più grande bluff della storia dell’uomo, per altri una tappa fondamentale verso la costruzione della modernità. Per il mondo dello sport italiano però l’estate del 1968 è quella del primo, e unico, titolo europeo della Nazionale azzurra. Un successo assurdo e incredibile come quell’anno di stravolgimenti storici, contrassegnato da monetine che cadono dal verso giusto e di seconde chances concesse dal destino.
L’Estate del 1968 è quella in cui l’Italia del calcio torna grande, e lo fa in un modo assurdo. D’altronde, in un anno del genere non poteva essere altrimenti.
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Preludio
Cinquanta anni fa gli Europei erano ben diversi da come li conosciamo oggi. Vi prendevano parte solo 4 squadre, un’inezia a confronto delle 24 che partecipano ora. La Nazionale italiana arriva dalla clamorosa umiliazione del 1966, nel mondiale inglese. Dai “ridolini” della Corea del Nord, come li aveva soprannominati Ferruccio Valcareggi, allora assistente del CT Fabbri. Quei piccoletti asiatici che a sorpresa battono la ben più quotata Italia e la mandano a casa, mestamente con la coda tra le gambe e con un carico di vergogna altissimo.
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Il CT Fabbri viene sostituito proprio da Valcareggi e spetta a lui, all’uomo che aveva deriso i coreani, il compito di condurre l’Italia verso l’Europeo di due anni dopo. Una competizione che si sarebbe giocata in casa, nel triangolo Roma-Firenze-Napoli. Un’occasione irripetibile per l’immediato riscatto. Gli azzurri superano agevolmente il girone di qualificazione chiudendo davanti a Romania, Svizzera e Cipro. Poi, prima dell’accesso alla fase finale, c’è da superare una sorta di play-off, andata e ritorno, con la Bulgaria.
Si mette subito male per gli azzurri: a Sofia la Nazionale di Valcareggi sbanda e la Bulgaria si aggiudica il primo round della sfida, vincendo 3-2. Al ritorno al Picchi di Livorno però, l’Italia s’impone 2-0 con le reti di Prati e Domenghini. La rimonta è completa: gli azzurri si qualificano alla fase finale degli Europei e conquistano la possibilità di concorrere per il titolo in casa.
La monetina che fa felice l’Italia
Giungiamo così all’assurda estate del 1968. Mentre i giovani scendono in piazza e occupano le università, Ferruccio Valcareggi allestisce la propria Nazionale per prepararsi alla sfida contro il faro ideologico di tutto il movimento di quell’anno: l’URSS. Una gara affascinante per il momento in cui arriva: il confronto tra le due forze rosse più importanti dell’Europa. Il grande stato comunista a est, e il paese col più influente partito comunista occidentale.
Risvolti extra-calcistici dunque avvolgono questa sfida molto complessa per l’Italia. I sovietici vengono da due finali consecutive nei campionati europei: una vinta nel 1960 e l’altra persa nel 1964 contro la Spagna. Per loro l’affermazione in campo sportivo ha un carico ideologico che va ben oltre il risultato sportivo e l’attesa intorno al match si fa carica all’inverosimile di aspettative.
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La partita però è molto lontana dallo spettacolo che prometteva di rendere. È un match di nervi, con le due squadre che si fronteggiano, ma non si feriscono, non smuovendosi dallo 0-0. Nei supplementari arriva un brivido, col legno della porta sovietica che trema dopo la botta vigorosa di Domenghini. La partita termina però 0-0 e a questo punto si apre uno scenario incredibile: per decidere chi andrà in finale ci sarà il lancio della monetina.
All’epoca non c’era ancora la lotteria dei calci di rigori, ma le sorti delle due squadre venivano affidate a una monetina, che in tutta la sua semplicità roteava e sanciva elezione e reiezione, affidandosi completamente al caso.
L’arbitro Tschenscher dunque torna negli spogliatoi con le due squadre. Il capitano azzurro, Giacinto Facchetti, lo segue, sperando di poter usufruire della sua proverbiale fortuna. Lo stadio si gela, in trepidante attesa. Non un sussulto anima la folla allo stadio San Paolo. Si aspetta il responso di quella moneta da cento lire che dovrà cadere dal lato giusto per evitare agli azzurri una nuova, enorme, delusione. Dopo l’interminabile attesa dagli spogliatoi riemerge la sagoma di Facchetti, sorridente ed esultante: la fama sulla sua fortuna si è fatta rispettare, la monetina è caduta dal lato giusto e l’Italia è in finale.
La finale ripetuta
La sorte ha regalato all’Italia la finale, ma ora l’ostacolo è enorme. Nell’ultimo atto dell’Europeo gli azzurri se la devono vedere con la temibile Jugoslavia, autrice di un cammino clamoroso fino a quel momento. Ai play-off gli slavi si sono liberati della Francia con un imbarazzante 9-1 complessivo tra andata e ritorno. Nella semifinale hanno eliminato l’Inghilterra campione del mondo con una rete della stella Dzajic.
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Nella finale dell’Olimpico, i favori del pronostico sono tutti per la Jugoslavia. Non fa niente per nasconderlo il tecnico degli slavi Mitic: “Sconfitti i migliori, mi sembra ovvio che ora possiamo tranquillamente ripeterci contro gli azzurri”. E l’inizio della gara sembra dargli ragione. L’Italia, orfana di Rivera infortunato, gioca male e va sotto al 39’ con l’ennesima rete di Dzajic. Nella ripresa gli slavi sprecano e gli azzurri, un po’ a sorpresa, trovano il pari all’80’ con una pregevole punizione di Domenghini.
All’Olimpico finisce 1-1. Ma stavolta non ci sarà alcuna monetina. Tirano un sospiro di sollievo in tal senso gli azzurri, che nelle Olimpiadi del 1960 avevano perso col lancio della sorte proprio contro la Jugoslavia e non vogliono assolutamente ripetere l’esperienza. Stavolta sarà ancora il campo a dare il verdetto, con un’insolita ripetizione della finale. Un altro scenario assurdo in quell’estate assurda.
Italia campione d’Europa
Due giorni dopo è ancora Italia contro Jugoslavia. Ancora all’Olimpico. Gli slavi sono forti della propria superiorità, manifestata all’andata, ma Valcareggi mette in scena il suo capolavoro. Nell’estate dominata dai venti del cambiamento, il tecnico azzurro compie la propria rivoluzione per vincere l’Europeo: sono addirittura cinque i cambi rispetto all’altra finale: fuori Castano, Ferrini, Juliano, Lodetti e Prati, dentro Salvadore, Rosato, Mazzola, De Sisti e Riva, tornato dall’infortunio.
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Proprio Rombo di tuono sblocca il match dopo appena 12 minuti, in posizione di fuorigioco che l’arbitro non ravvisa. Poi al 32’ raddoppia Anastasi e l’Italia conserva il vantaggio fino al termine del match: arriva il triplice fischio dell’arbitro. L’Italia è campione d’Europa.
In un’estate famosa per aver cambiato per sempre le sorti del mondo, il destino guida gli azzurri alla vittoria del loro primo titolo europeo. Di lì a poco tutta la felicità di quell’estate sarebbe stata di colpo cancellata, il paese sarebbe scivolato negli oscuri anni di piombo, segnati dalle bombe e dalla paura. Ma in quell’estate del 1968 il vento soffiava ancora pieno di speranza e l’Italia poteva festeggiare, grazie ad una monetina caduta dal lato giusto.
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