La Giamaica vuole approdare ai prossimi Mondiali. Con un brand in evoluzione e un movimento calcistico in continua crescita, convincere nuovi giocatori ad accettare il progetto caraibico non sembra più un’utopia.
Sono le parole dello stesso presidente della Federazione giamaicana Micheal Ricketts a confermare l’intenzione di riportare i Reggae Boyz nella massima competizione per squadre nazionali in modo da dare nuovo impulso all’intero movimento calcistico.
Proprio come John Herdman ha scelto di fare con il Canada, la Giamaica vuole utilizzare la vetrina del mondiale in Qatar per restituire forza al movimento calcistico in patria e riportare la nazionale ai fasti del 1998.
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Giamaica: correva l’anno 1998
Era l’estate ’98 quando la Giamaica si presentò al Mondiale di Francia vincendo al Parco dei Principi contro il Giappone in un girone di ferro completato da Croazia e Francia. I Reggae Boyz – termine coniato dai giornalisti dell’epoca – erano reduci da un quarto posto alla Gold Cup statunitense, nella quale erano riusciti a fermare sullo 0-0 il Brasile campione del mondo.
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In quella competizione, che negli anni successivi sarà fonte di risultati non del tutto appaganti, la Giamaica riuscì nell’intento di farsi conoscere al pubblico internazionale, approdando alla vetrina del campionato del mondo di Zidane come vera e propria attrazione.
Da quel momento però, solo due finali in Gold Cup (2015 e 2017), oltre alla semifinale del 2019 hanno contraddistinto il percorso internazionale di una selezione con la bacheca piena di Coppe dei Caraibi (6 edizioni).
Un legame antico
Usain Bolt, Asafa Powell, Bob Marley: quando si guarda alla Giamaica gli archetipi sportivi e musicali normalmente si arenano a questi primi tre nomi sciorinati con sicurezza anche da chi non ha idea di dove si trovi geograficamente l’isola dei Caraibi.
Proprio come i tre grandi totem della Giamaica mainstream però, anche patriottici campioni come Robbie Earle, Frank Sinclair e Marcus Gayle – insieme all’attuale CT Theodore Whitmore – hanno costituito parte del mito sportivo di questa nazione. Titolari in quell’unico e leggendario mondiale di Francia, i tre giocatori avevano in comune una nazione di nascita ai protagonisti della Giamaica attuale: l’Inghilterra.
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Il legame tra l’isola britannica e quella caraibica risale al XVII secolo quando, a seguito della guerra coloniale con la Spagna, l’Inghilterra riuscì a strappare la Giamaica al trono iberico. Riconosciuta come possedimento inglese dal trattato di Madrid del 1670, essa rimase sotto il controllo degli inglesi fino al 1962, quando fu ammessa al Commonwealth dell’ex Impero Britannico.
Questo storico e radicato legame, spiega il perché Micheal Ricketts oggi, ha grandi aspettative per le qualificazioni ai prossimi mondiali.
Giamaica: missione Qatar
Con in panchina il rientrante Theodore Whtimore e una rosa resa più competitiva dall’aggiunta di diversi giocatori, la Giamaica calcistica può dirsi soddisfatta del punto da cui ha intenzione di partire alle porte delle qualificazioni mondiali.
La sfida del 25 marzo scorso contro gli Stati Uniti (sconfitta per 4-1 maturata in Austria) ha avuto proprio lo scopo di mostrare al pubblico internazionale come il calcio giamaicano stia lavorando, e far misurare le nuove leve dei Reggae Boyz con una nazionale di prima fascia nel continente americano.
Nella rosa a disposizione del CT Whitmore sono presenti ben dieci giocatori con la doppia nazionalità inglese: la scelta del progetto caraibico, oltre che per l’evidente missmatch tecnico con la nazionale dei tre leoni, è indice di quanto la Federazione giamaicana stia lavorando nell’ottica di far crescere il movimento.
Gli attaccanti di Watford e Swansea Andre Grey e Jamal Lowe, i difensori di Reading e Wigan (tra le altre) Ethan Pinnock, Curtis Tilt, Wes Hardinh e Amari’i Bell sono solo i primi neo “acquisti” di una nazionale che punta a rendersi alfiere di un brand internazionale su più livelli.
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Micheal Ricketts e il futuro
“É eccitante vedere come i giamaicani di seconda generazione stiano scegliendo la nostra nazionale. Se tutti dovessero accettare il nostro progetto, la Giamaica diventerebbe di diritto una delle papabili per la qualificazione a Qatar 2022.”
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Tra i papabili nuovi ingressi nella nazionale di Whitmore e Ricketts l’esterno del Leverkusen Demarai Gray, iridato con il Leicester e ora passato alla Bundesliga, Mason Holgate, centrale dell’Everton di ventiquattro anni e – sopratutto – Michail Antonio, ala del West Ham che negli ultimi anni sta ben figurando in Premier League.
La fiducia del presidente Ricketts nei confronti delle scelte di questi giocatori risiede nella bontà del progetto caraibico e nella possibilità concreta di portare la Giamaica ai Mondiali aiutando l’intero movimento sportivo del paese a crescere ancora di più.
Simon Chadwick, studioso delle interazioni tra sport e politica alla Emlyon Business School, dalle colonne del Guardian ha parlato proprio di questo importante legame tra la scelta di giocare con la Giamaica da parte di giocatori del calibro di Gray e di Antonio e la crescita del brand caraibico nel mondo non solo del calcio, sottolineandone come la gestazione di un brand passi anche da questo tipo di affermazioni sportive.
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Il retaggio familiare, che il presidente Ricketts ha più volte sottolineato in questi mesi come motivo principale per legarsi alla causa del re-branding, è dunque presente in ognuno dei calciatori che si avvicinano alla nazionale giamaicana per la prima volta. Chissà che le tradizioni e la cultura non aiutino la Giamaica a tornare ai Mondiali, magari trascinata dai gol di Antonio e Gray.
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