Il calcio cinese è in forti difficoltà economiche e Suning si tira indietro, chiudendo tutte le attività dei campioni in carica dello Jiangsu
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Lo Jiangsu FC non esiste più. La società cinese, laureatasi campione della Chinese Super League solo qualche mese fa, è stata dichiarata definitivamente chiusa dal gruppo Suning, che solo un anno fa aveva tolto il proprio nome dagli sponsor del club e, a distanza di qualche mese, ha detto che da adesso in poi la società cesserà di esistere.
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L’annuncio arriva con un comunicato molto stringente, nel quale la proprietà cinese non si perde in troppe parole. Riassumendo, nella nota ufficiale condivisa dal gruppo si parla di “cessazione immediata delle attività” facendo riferimento, in maniera più o meno implicita, a un ridimensionamento forzato al quale viene, o verrà, sottoposto nell’immediato futuro tutto ciò che ruota attorno al calcio cinese.
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Addio Jiangsu, il comunicato di Suning
Lo Jiangsu si ritira a un mese dall’inizio della nuova stagione. Nel comunicato si legge che “a causa della sovrapposizione di variabili incontrollate, lo Jiangsu non può garantire la permanenza nella Super League e nell’AFC. Negli scorsi sei mesi il club ha fatto di tutto per garantire la successione del club, senza tralasciare nessuna opportunità”.
Official: Suning Group announce all their football clubs(in China), including the CSL reigning champion Jiangsu FC(formerly Suning), the Women's CSL powerhouse Jiangsu Suning Women's(2019 WCSL champion) and youth teams of all levels, 'cease operation from today'. pic.twitter.com/BSv2I5V2bf
— Titan Sports (@titan_plus) February 28, 2021
“Arrivati alla deadline per l’iscrizione alla stagione 2021 – in conclusione -, nonostante siamo reclutanti, dobbiamo fare un annuncio: con effetto immediato, cessiamo di gestire le operazioni del club, allo stesso tempo ci aspettiamo imprese che vogliano discutere con noi del futuro”. La decisione è definitiva e coinvolge tutta l’attività del settore giovanile più l’intera divisione femminile facente riferimento alla società.
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Una parabola durata 27 anni
Lo Jiangsu scompare al compimento del suo ventisettesimo anno di età, a poche settimane dall’inizio di una nuova stagione nella quale avrebbe dovuto difendere il titolo in patria e provare a riportare in Cina la Champions League asiatica. Con il suo scioglimento i calciatori si svincolano e potranno trovarsi una nuova sistemazione con effetto immediato.
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Acquistato nel dicembre 2015 per 73 milioni di euro da Suning Appliance Group, una consociata di Suning Holdings Group nonché holding company di proprietà dell’imprenditore Zhang Jindong, lo Jiangsu ha scalato le tappe sotto la nuova proprietà, diventando uno dei punti di riferimento del calcio locale e facendo transitare in Chinese Super League diverse personalità di spicco come Fabio Capello, tra gli allenatori, e la coppia brasiliana composta da Teixeira e Ramires per quasi 80 milioni di euro.
Che le cose si fossero messe male subito dopo il titolo si era capito dalle dichiarazioni del tecnico campione in carica, il rumeno Cosmin Olaroiu, dimessosi nei giorni successivi alla vittoria in campionato: “Sono deluso, molto deluso. Dopo aver vinto il titolo, oltre a chi ha partecipato, ho ricevuto solo un messaggio da parte del presidente tramite il suo segretario. Un messaggio in cui diceva ‘complimenti’ e basta. Nessuno del club ne ha fatti – ha chiuso Olaroiu – e qui sto parlando dei proprietari. Non ci sono state celebrazioni o feste. Niente”.
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La decadenza del calcio cinese
Il fallimento dello Jiangsu rientra all’interno di un ridimensionamento massiccio del calcio cinese, all’interno del quale è da sempre presente – come da tradizione – una forte ingerenza del governo centrale di Pechino, da sempre avvezzo a porre improvvise restrizioni che mettono in difficoltà i club. Le società, per contro, vengono continuamente tenute sott’occhio perché ogni spesa dev’essere “rendicontata” a terzi.
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Pechino ha deciso che il calcio non ha attecchito, ignorando completamente il fatto che spendere tanti soldi, per la maggior parte delle volte a caso, non implica la crescita tanto auspicata. Insomma, per fare calcio in un certo modo servono strategie sostenibili e tempo per attuarle. Mentre Giappone e Corea del Sud si sono adeguate, lavorando tantissimo sui vivai, in Cina si è speso finché si è potuto e, una volta chiusi improvvisamente i rubinetti, i club locali si sono trovati spiazzati.
La conseguenza dei tagli e dei tetti messi alle spese non potevano che essere fallimenti a raffica. Qualche giorno fa lo Shandong Luneng è stato espulso dalla Champions League per reiterate inadempienze, mentre a Tianjin le due squadre cittadine, i Tigers – ex Teda – e lo Tianhai, sono sull’orlo della bancarotta. Un ridimensionamento forte e preoccupante, quello che sta avvolgendo il calcio cinese, che potrebbe essere solo all’inizio.
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