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Nonostante i soli 3 milioni e mezzo di abitanti, l’Uruguay è il terzo paese ad aver dato giocatori al calcio spagnolo. Perché così tanti arrivano in Liga? Il segreto è nei settori giovanili

Secondo un recente rapporto del CIES, ci sono solo due paesi nella top 20 mondiale capaci, con una popolazione inferiore ai 5 milioni di abitanti, di esportare quantità incalcolabili di talento. Il primo è la Croazia, che dalla sua ha una scuola calcistica importante ma è anche avvantaggiata dalla posizione, che permette ai suoi talenti di emigrare facilmente già da giovanissimi.

Il secondo è l’Uruguay, un vero e proprio microcosmo sportivo a parte. Infatti, è da Montevideo e dintorni che in percentuale partono più calciatori verso l’Europa. Il Vecchio Continente, che da sempre accoglie i campioni argentini e brasiliani, ha ormai fatto l’abitudine a ospitare anche tantissimi uruguayani, che ormai si accasano un po’ ovunque.

Soprattutto in Liga, dove la loro presenza è decisamente massiccia. Nel rapporto diramato dall’osservatorio calcistico, infatti, si legge che tra Liga e Liga SmartBank – la seconda serie del calcio spagnolo – attualmente militano ben 26 calciatori provenienti dall’Uruguay, suddivisi rispettivamente in 15 e 11 unità, come terzo paese esportatore in Spagna dopo Argentina e Francia.

Uruguay e Liga, una storia (quasi) centenaria

Chi parla di miracolo uruguayano, tuttavia, non ha ben presente il modus operandi calcistico del piccolo, ma floridissimo, paese sudamericano. Oltre a essere uno stato profondamente esportatore di talento, infatti, l’Uruguay ha sviluppato nella storia un vero e proprio filo diretto con la Liga.

Il primo migrante charrúa risale addirittura al 1949, quando in Spagna sbarcò Dagoberto Moll, centravanti che militò per qualche stagione al Deportivo La Coruña, per poi passare da Barcellona, Celta ed Elche.

https://www.youtube.com/watch?v=2wr7Wl6S1Hs

Il più famoso, invece, inevitabilmente Luis Suarez, oggi stella dell’Atletico Madrid dopo anni passati a vincere tutto al fianco di Messi al Barcellona. Il Pistolero è il massimo cannoniere uruguayano storico della Liga e si appresta a vincere il campionato con i colori colchoneros addosso.

L’ultimo, infine, è Facundo Pellistri, talento sgrezzatosi nel Peñarol oggi in prestito dal Manchester United al Deportivo Alavés. Solo Argentina (522) e Brasile (288) hanno fatto meglio nei 90 anni di Liga rispetto ai 181 calciatori provenienti dalla sponda celeste del Rio de La Plata.

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Fonte immagine: @GoalItalia (Twitter)

Un successo che nasce alla base

Ma per quale motivo tanti uruguayani riescono ad arrivare così in alto? Lo ha spiegato Marc Tarradas, delegato della Liga in Argentina, Cile e appunto Uruguay: “Il segreto sta nel lavoro che viene fatto alla base: gli aspetti del calci vengono interiorizzati sin da bambini, viene instillata una sorta di consapevolezza a prescindere dalla classe sociale”.

Un concetto, quest’ultimo, confermato anche dall’ex viceministro dello sport locale Alfredo Etchandy: “Qui scherzando si dice che ci sono tre cose che non puoi toccare a un uruguagio: l’asado, il mate e il calcio”. “L’amore per il pallone – continua Etchandy – è un retaggio di quasi cento anni, quando Brasile e Argentina, per mettere fine a una guerra sanguinosa, decisero che qui ci sarebbe stato un altro paese, quello formato da immigrati. Il calcio è la voglia di rivalsa, di poter competere con paesi molto più grandi di noi”.

Per questo, quando era in carica, Etchandy ha contribuito a portare avanti il concetto di formazione base inaugurando il progetto Gol al Futuro, nel quale decine di bambini venivano indirizzati verso il calcio anche dal punto di vista storico. Lo spirito, invece, si è alimentato in campo nei decenni passati, dai due Mondiali vinti contro ogni pronostico – il più celebre, ovviamente, è il Maracanazo – ai record in Copa America.

Perché gli uruguayani sfondano in Liga

Diego Alonso, ex centravanti dell’Alavés (con i baschi ha fiorato la vittoria in Europa League, sfuggita dopo una finale epica contro il Liverpool), prova a spiegare il motivo per il quale molti suoi connazionali scelgono la Liga: “Nasciamo e cresciamo con tante pressioni, per questo sviluppiamo uno spirito di adattamento molto forte. La Spagna è un paese nel quale ci inseriamo velocemente, perché il nostro approccio si sposa bene con ciò che sono la Liga e il calcio spagnolo”.

Formatosi nel Nacional, dopo tanti anni in giro per il mondo Alonso è tornato al capezzale della sua società in crisi. A lui si deve lo sviluppo di una ricostruzione meticolosa del settore giovanile, con abbattimento del monte ingaggi della prima squadra per destinarne la metà delle risorse al vivaio. Sono state implementate le strutture del centro sportivo, aumentata la presenza sul territorio nazionale, ma soprattutto Alonso ha assoldato diversi professionisti nel campo medico, per non lasciare nulla al caso.

“Essere un calciatore in Uruguay può essere frustranteha detto – il calcio qui è un’estensione naturale della vita di ognuno”. Ma i risultati di tale lavoro si vedono sul lungo periodo, vista l’enorme mole di professionisti esportati annualmente da un paese piccolo e con molte meno risorse rispetto a quelli confinanti. E la Liga, il campionato più contaminato, ovviamente ringrazia.

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