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L’ex centrocampista del Manchester City Yaya Touré ha deciso di intraprendere la carriera di tecnico: un mestiere adatto ad un condottiero come l’ivoriano

Sta per calare il sipario sulla carriera di uno dei centrocampisti più completi degli anni 2000. Si tratta di Yaya Touré, centrocampista che ha iniziato la sua avventura europea tra Olympiakos, Monaco e Barcellona e che si è consacrato definitivamente nelle file del Manchester City (oltre che nella Nazionale della Costa d’Avorio). Il talento africano, dopo la separazione con i cinesi del Quingdao Huangai, ha deciso di dedicarsi alla carriera di allenatore. Un ruolo che, sotto certi punti di vista, è sempre stato nel suo destino.

Touré

Fonte: @realtoureyaya (Instagram)

I primi segnali agli albori della carriera

Per approfondire questa scelta, è opportuno ripercorrere la carriera di Yaya Touré sottolineandone alcuni passaggi fondamentali. I primi segnali di un possibile futuro in panchina si hanno addirittura in Costa d’Avorio, quando l’ex Barça e City era solo un ragazzino che pensava tutto il giorno a correre dietro ad un pallone. Dopo i primi calci dati per la squadra, viene notato dal tecnico Jean-Marc Guillou e portato all’Accademia ASEC Mimosas.

In questo contesto calcistico impara due aspetti fondamentali: il duro lavoro per diventare un calciatore professionista e la versatilità per interpretare più ruoli sul campo. Oltre a mettere in pratica questi insegnamenti, Touré cerca di approfondirli rimanendo dopo l’allenamento a parlare con il suo allenatore. Un maggiore interesse rispetto a quello dei suoi compagni di squadra, che la dice lunga sulla sua predisposizione fin da giovane alla conoscenza dettagliata di tutte le dinamiche del gioco.

Yaya Touré al City: leader e allenatore in campo

Grazie agli insegnamenti di Guillou, Touré ha un impatto positivo con il calcio europeo. La sua duttilità tattica gli consente di interpretare al meglio più posizione in campo, giocando per esempio da difensore centrale nella finale di Champions League vinta dal suo Barcellona nel 2009 contro il Manchester United. La sua definizione dal punto di vista tattico arriva a partire dal 2010, con il passaggio al Manchester City.

Sia Roberto Mancini che poi Manuel Pellegrini vedono in Touré il centro gravitazionale della squadra. Non solo sul piano tattico, trasformandolo in un centrocampista centrale con propensione offensiva, ma anche dal punto di vista della leadership. Il suo è un dialogo costante con i compagni, per metterli nelle migliori condizioni per rendere al meglio.

Capitava infatti che l’ivoriano parlasse con compagni di reparto – come Fernandinho, David Silva o più avanti De Bruyne – delle posizioni da tenere sul rettangolo verde, del modo migliore per dialogare e di come orchestrare la manovra offensiva senza perdere l’equilibrio. Quesiti che la dicono lunga su quanto Tourè fosse già un allenatore in campo, anche se all’epoca non ci pensava.

L’incontro con Guardiola: sboccia l’amore per la panchina

L’ivoriano infatti aveva come unico obiettivo quello di massimizzare il livello suo e della squadra, senza avere velleità da panchina. L’interesse per il mestiere di allenatore coincide con l’arrivo al City di Pep Guardiola. Con il mister catalano – che aveva già avuto al Barcellona – comincia ad approfondire vari aspetti del gioco e si rende conto di avere sempre avuto una forma mentis da allenatore oltre che da giocatore.

Il crescente amore per il mestiere di tecnico coincide con il suo declino sul piano calcistico. All’inizio del 2020 lascia la Cina per l’insorgere della pandemia di Coronavirus: un disagio che trasforma in opportunità, per cominciare la sua carriera in panchina. La prima occasione è al QPR, con il direttore sportivo Les Ferdinand che consente a Touré di osservare da vicino il lavoro del tecnico della prima squadra Chris Ramsey e di dirigere alcune sessioni di allenamento delle formazioni giovanili.

Un’esperienza molto formativa, in cui Touré cerca di instaurare un dialogo con i ragazzi anche dopo gli allenamenti. Conversazioni interminabili per aiutare i giocatori a migliorare le rispettive qualità, esattamente come faceva da giocatore con i suoi compagni di squadra. Una dinamica che ripete successivamente al Blackburn, sperando di poter guidare ufficialmente una squadra il prima possibile. I crismi del grande tecnico, oltre che i maestri di spessore, certamente non gli mancano.

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