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Zvonimir Boban, ex-dirigente del Milan, ha vinto la causa contro il club rossonero per il licenziamento subito lo scorso marzo. Ma la conclusione della vicenda è ancora lontana.

Nella giornata del 30 dicembre, il Giudice del Lavoro di Milano ha emesso una sentenza che condanna il Milan a risarcire Zvonimir Boban per la cifra di 5,375 milioni di euro, dopo il ricorso presentato dal croato lo scorso marzo contro il proprio licenziamento.

Il caso era scoppiato nel momento in cui il Milan andava molto meno bene di quanto faccia oggi, e sul suo futuro aleggiava la figura di Ralf Rangnick, l’allenatore tedesco in predicato di prendere il posto di Stefano Pioli.

Boban, Rangnick, Gazidis: i fatti

Boban, già ex-giocatore rossonero, e poi stimato opinionista tv a Sky e vicesegretario generale della FIFA, era stato nominato dirigente del Milan nel giugno 2019 con la carica di Chief Football Officer dalla nuova gestione rappresentata dal fondo americano Elliott Management Corporation. Il suo ingaggio faceva parte di un progetto di ristrutturazione societaria che aveva coinvolto un’altra bandiera milanista come Paolo Maldini.

boban

Fonte Immagine: @napolista (Twitter)

Tuttavia, all’inizio dell’anno Boban aveva rilasciato una intervista alla Gazzetta dello Sport in cui aveva parlato della trattativa con l’allenatore e dirigente tedesco Ralf Rangnick, indicato come successore di Stefano Pioli sulla panchina rossonera. Si era a fine febbraio: già si parlava di coronavirus, ma ancora non era scattato il lockdown; il Milan veniva da una prima parte di stagione molto deludente, ma qualche miglioramento si iniziava a vedere dopo l’acquisto, a gennaio, di Zlatan Ibrahimovic.

“La cosa peggiore – aveva detto Boban – è che questo evento destabilizzante avviene in un momento durante il quale la squadra sta crescendo e si vede un grande lavoro di Pioli”. Boban si era quindi schierato contro l’ipotesi Rangnick (una decisione di Gazidis che, a suo dire, aveva concluso la trattattiva a dicembre senza nemmeno interpellarlo) e in difesa di Pioli. L’ad milanista ribatté che le parole di Boban erano lesive della società, e per tanto da ritenersi inaccetabili.

Alle critiche, Boban aveva risposto definendo la sua intervista “legalmente ineccepibile” e aggiungendo polemicamente: “Non sapevo fossimo in Corea del Nord“. Nel giro di pochi giorni, il croato era stato licenziato dal Milan e decideva immediatamente di ricorrere contro la decisione presso il Tribunale del Lavoro. Successivamente, la trattativa con Rangnick sarebbe saltata, dopo uno scontro con Maldini.

Cosa succede ora

Il giudice milanese Antonio Lombardo ha emesso la sentenza di condanna del Milan, che dovrà quindi versare a Boban 5,375 milioni (4,125 a titolo di danno patrimoniale, e i restanti 1,250 come danno non patrimoniale, precisa Repubblica). Il croato, originariamente, aveva chiesto un risarcimento di 8 milioni, pari al doppio dello stipendio che doveva ancora percepire.

https://twitter.com/Andersinho_ITA/status/1344255409809461250

La società rossonera ha già annunciato che ricorrerà in appello contro la decisione del giudice, ma per farlo dovrà attendere che quest’ultimo abbia depositato le motivazioni della sentenza. Per questo, potrebbe volerci ancora non più di due settimane.

Il ricorso è necessario per “tutelare la Società, ribadendo la totale correttezza e legittimità delle proprie decisioni e azioni intraprese”, si legge nel comunicato del club. La vicenda tra Boban e il Milan, quindi, non può ancora dirsi conclusa, visto che almeno un altro giudice dovrà esprimersi a riguardo. Dopo il processo d’appello, sarà possibile un ulteriore ricorso al terzo e ultimo grado di giudizio.

Le motivazioni

Venerdì 8 gennaio, il giudice Lombardo ha comunicato le motivazioni della sua sentenza. In esse, viene detto che “Non si ravvisa alcun profilo di violazione” degli obblighi di Boban in quanto dirigente del Milan, “essendo i fatti narrati da Boban già oggetto di precedente propalazione mediatica”.

Significa che Boban non avrebbe commesso nulla di sbagliato, poiché quanto da lui detto alla Gazzetta dello Sport corrispondeva a cose già note al pubblico. Non ha quindi, secondo il giudice, rivelato segreti aziendali o informazioni riservate riguardanti il Milan, che avrebbero potuto danneggiare in qualche modo la società.

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