Quanto sono pericolosi i traumi cranici nel calcio e perché serve adeguare i protocolli per garantire la salute dei giocatori.
Domenica scorsa in Premier League, al minuto 5 di Arsenal-Wolverhampton, su un corner a favore dei Gunners, David Luiz ha staccato in terzo tempo nel tentativo di raggiungere il pallone, e si è violentemente scontrato testa contro testa con Raúl Jiménez, che stava difendendo quella porzione d’area.
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Non è stato un semplice contrasto. Il rumore secco (e angosciante) dell’impatto si è percepito addirittura dall’audio della diretta tv – e ancor di più dal campo, come confermato poi dai reporter inglesi presenti all’Emirates Stadium e dall’allenatore del Wolverhampton, Nuno Espirito Santo.
Il protocollo per il calcio è ancora troppo fragile
Jiménez è rimasto sdraiato a terra perdendo immediatamente conoscenza, ma è stato tempestivamente soccorso dai team medici di entrambe le squadre, con ossigeno e barella. Per David Luiz, invece, è parso poco di più di un forte scontro di gioco e, dopo 10 minuti di pausa, il difensore brasiliano si è rialzato (un po’ traballante), con la testa bendata, e ha proseguito a giocare – salvo essere sostituito all’intervallo.
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Raúl Jiménez ha poi ripreso conoscenza dopo l’arrivo in ospedale, ma gli esami strumentali hanno riscontrato una frattura del cranio, mentre David Luiz ha riportato solo un ampio taglio e una forte botta stordente, che in ogni caso non gli hanno permesso di terminare la partita. Ma vedere il difensore brasiliano provare a mantenere il passo del match nonostante ciò che era successo, è stato piuttosto difficile da comprendere.
“Abbiamo seguito alla lettera il protocollo”, ha confermato Mikel Arteta, allenatore dell’Arsenal, nell’immediato post-partita. E non c’è motivo di non credergli. Il protocollo internazionale per le “head concussion” (traumi cranici), seguito anche dalla Premier League, è un plico di pagine e liste di verifiche da effettuare sul momento, che gli staff medici devono imparare a memoria, insieme a domande da porre al giocatore per capire la sua lucidità (“Contro chi abbiamo giocato la scorsa settimana?”), con diversi gradi di giudizio per lo sguardo e la reattività fisica (stordito, appannato, perso nel vuoto, ecc).
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Ma allora ci si chiede: per quanto precisi e approfonditi, i protocolli ufficiali sono abbastanza? Era davvero necessario far continuare la partita a David Luiz, esponendolo a ulteriori rischi?
Traumi cranici: cosa succede negli altri sport?
Il calcio è indietro rispetto agli altri sport, su questo tema, nel tutelare la salute dei giocatori. Nel rugby, il tema viene considerato di livello molto serio, e “in caso di sospetto trauma alla testa, il giocatore va immediatamente fatto uscire dal campo, seguito a dovere a livello medico e mai lasciato solo”, e se non recupera entro 10 minuti, viene escluso dal match (ma nel rugby esistono le sostituzioni temporanee per infortunio). Ancor di più, questo scenario viene tenuto in grande considerazione nell’hockey e nel football americano, dove è comunque già previsto l’uso di caschi ed elementi protettivi.
C’è invece una strana epica del passato, quando si tratta di infortuni, a cui il calcio sembra ancora troppo legato. I giocatori vengono visti in parte come sacrificabili, in nome di una certa immagine pseudo-eroica nel continuare la gara da infortunati. Ma qui si parla di un livello di rischio enorme. “Se parliamo di traumi cranici, si tratta di vita o di morte, è ora che il calcio si renda conto della realtà”, ha commentato senza mezzi termini Alan Shearer, negli studi di BBC Match of the Day 2, domenica sera.
Sono sempre più frequenti gli studi scientifici che confermano che, rimanere in campo dopo un trauma cranico simile a quello occorso a David Luiz, raddoppia i tempi di recupero del giocatore (con conseguenti danni a medio termine), per tacere dei possibili rischi immediati, nel prosieguo del match.
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Da più parti in Inghilterra si richiede l’introduzione della “sostituzione per traumi cranici”, un cambio extra ad hoc da effettuare proprio in situazioni come quella di Luiz-Jiménez, e che dovrebbe essere in cima all’agenda della riunione dell’International Football Association Board del prossimo 16 dicembre.
Troy Deeney, attaccante del Watford, ha detto che “da giocatore, sai come ti senti e se ce la fai a continuare o no”, ma sarebbe meglio non accettare più il rischio, perché non ne vale la pena. Jurgen Klopp, allenatore del Liverpool, e Scott Parker, manager del Fulham, hanno confermato che “introdurre un cambio supplementare per trauma cranico è la scelta più logica”. È ora che il calcio si renda conto che la salute dei calciatori va presa davvero sul serio.
di Antonio Cunazza
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