Josh Hope ha ventidue anni e da tre fa parte della rosa dei Melbourne Victory diventandone un pezzo dell’argenteria del club australiano. O almeno lo era, fino a due mesi fa: Josh Hope ha ceduto ai continui insulti che gli pervenivano via social network scegliendo la via dell’eclissi
Una battaglia durata diciotto mesi: così SPORTBible e Fox Sports raccontano della dura lotta interna che Josh ha dovuto combattere con se stesso prima di scegliere di abbandonare ciò per cui aveva lottato sin da ragazzino.
“Ho concesso un calcio di rigore in una partita fuori casa, un errore come un altro in una partita di calcio. Subito dopo il match però, migliaia sono stati i tags che ho ricevuto sui social network in cui ricevevo insulti continui, per non parlare dei messaggi privati: tutti attacchi personali. Mi criticavano per i miei capelli, insomma, siamo nel 2020 non nel 1950, a chi importa di un taglio di capelli?”
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Primo calciatore originario della Tasmania (è nato a Hobart, Australia) a ricevere una borsa di studio a ventitré anni alla Australian Institute of Sport, Josh Hope un anno dopo, nel 2016, esordiva nell’International Champions Cup contro la Juventus.
Un trequartista dalle grandi potenzialità, che ha dovuto lasciare il calcio perché diventato “troppo pressante”, e perché gli abusi si erano ormai resi “insostenibili e continui”.
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L’eclissi definitiva, ironia della sorte, è stata affidata ad un post su Instagram, in cui Josh Hope dichiarava il suo addio temporaneo al calcio e la sua ritrovata stabilità mentale a seguito di alcuni mesi passati nella casa dei genitori.
Social Network: un problema diffuso
Se la storia di Josh Hope non dovesse bastare a testimoniare l’importanza di eseguire una campagna contro gli abusi perpetrati nei confronti degli sportivi sui social, ecco che in Inghilterra è stata svolta un’inchiesta atta a studiare l’entità del problema.
Il report della PFA Charity riguardo gli abusi online perpetrati ai danni dei calciatori professionisti ha rivelato significativi punti ciechi nel combattere questo tipo di angherie. Nel corso dello studio, ben il 43% dei calciatori della Premier League coinvolti ha ricevuto insulti razzisti.
Questo studio, in collaborazione con Signify Group (compagnia sull’analisi e la raccolta di Data Science) e supportato da “Kick It Out”, ha sfruttato un’analisi del sistema per studiare i messaggi inviati su Twitter a quarantaquattro dei migliori giocatori facenti parte delle diverse divisioni del calcio inglese.
Durante le sei settimane del cosiddetto “Project Restart”, sono stati analizzati 825.515 tweets diretti ai giocatori selezionati, individuando ben 3.000 messaggi di abuso. Il 56% degli abusi identificati era di stampo razzista.
Le parole di Sterling, Akinfenwa e Mustafi
Numeri impressionanti, che hanno fatto eco a ciò che Josh Hope e molti calciatori professionisti dicono da tempo. Raheem Sterling, attaccante del Manchester City si è così espresso sulla questione:“Io non so quante volte ci sarà bisogno di dirlo, ma il calcio e i social network devono organizzarsi, mostrare la reale leadership e prendere decisioni atte a colpire gli abusi online. La tecnologia per fare la differenza esiste, ma non so se c’è l’intenzione di farlo.”
Gli fa eco Adebayo Akinfenwa, giocatore del Wycombe Wanderers: “Come persona che ha fatto esperienza diretta di abusi online e dopo aver parlato con compagni che hanno avuto la stessa esperienza, posso dire che i giocatori non vogliono calde parole di conforto da parte delle autorità del Football o dai giganti dei Social Network. Noi vogliamo fatti. Il tempo per parlare è finito, ora servono azioni da parte di chi può fare la differenza”.
E, infine, anche Shkordan Mustafi, difensore dell’Arsenal, che ripercorre i momenti difficili a seguito di alcuni errori sul campo per i quali si è anche rimosso dai social:“Devi avere a che fare coi Social Network, per questo ho deciso di bloccare tutto per un po’. Per le persone che ti vedono da fuori, beh loro vedono solo quella particolare azione e si arrabbiano con te. Tu di conseguenza diventi nervoso con te stesso perché non vuoi compiere errori simili, ed è difficile gestire in questo modo la pressione.”
Non solo Josh Hope: altre storie di mental breakdown
La storia di Josh Hope, che ha destato clamore in Australia facendo intervenire sia l’agente del ragazzo sia il responsabile della federazione, non è purtroppo l’unica a riportare questo tipo di situazione. Luke Chadwick, ad esempio, oggi ha trentanove anni, e per cinque stagioni ha fatto parte del Manchester United di Sir Alex Ferguson con cui vinse anche la Champions League di fine secolo.
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La sua storia però, racconta di insulti da parte dei tifosi che lo costrinsero ad una vita ritirata in cui esistevano solamente allenamenti e serate davanti alla televisione. Il motivo di tali insulti è da ritrovare nel suo aspetto:“Ricordo le persone dirmi che ero brutto, e che I miei denti strabordavano. É stato come se tutti intorno a me ridessero del mio aspetto, non era solo come se le persone stessero scherzando con qualche coro canzonatorio, era come se tutti ne parlassero.”
Chadwick riuscì solo successivamente a superare tale situazione, confessandola nello scorso mese di maggio via social network, per incoraggiare altri giocatori che soffrono dello stesso problema a parlare di quanto sta loro accadendo. Una condizione, quella dell’esposizione mediatica, che nella nostra società ha un peso fin troppo ingombrante.
As a young footballer the abuse I received about my appearance affected my mental health a lot.The feeling of embarrassment stopped me talking about how I felt.
Although uncomfortable at times,it’s so important we talk about our feelings to get through the tough times! ❤️ pic.twitter.com/gNhQRoQG4u
— Luke Chadwick (@Luke_FFF) May 5, 2020
Sebastian Ryall: pretesa di colpevolezza
L’ultima incredibile storia di “mental breakdown” viene sempre dall’Australia e il suo protagonista ce l’ha raccontata nel libro ‘How to die today’. L’autore, Sebastian Ryall, ha smesso di giocare nel gennaio 2018 ed era difensore centrale del Sidney Fc. Nel 2008, quando aveva solo diciotto anni, una ragazza lo ha avvicinato fuori da un locale dicendogli di avere sedici anni.
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Una volta scambiati i numeri, Sebastian ha scoperto che la piccola aveva solo tredici anni, e pochi giorni dopo ricevette una diffida per abusi su minori. Non vi erano prove che avesse abusato sessualmente della ragazza e per questo, a seguito dell’inchiesta che venne eseguita, Sebastian risultò innocente. Nel 2012 però, dopo aver lasciato i Melbourne Victory nel 2009 per il Sidney Fc, segnò un gol importante proprio contro la sua ex squadra e i tifosi lo bersagliarono dandogli del pedofilo.
“Sapevano che ciò che è accaduto con quella ragazzina ha rovinato la mia vita? No. Gli importava? No. C’è un motivo per cui nel sistema di giustizia una persona è presunta innocente fino a che le prove non lo colpevolizzino, perché è giusto così. E quello che ho passato non è stato bello.”
Ciò che non viene detto in questo sfogo riguarda i due tentativi di suicidio che Sebastian tentò a causa di questa accusa. Talmente scosso dalla situazione, il difensore non riusciva ad accettare che stesse capitando una cosa simile e voleva farla finita. Dopo aver superato il tutto, scrisse e pubblicò il libro come strumento di aiuto per tutti coloro che si trovano nella sua stessa situazione.
RODRYGO STA DISTRUGGENDO GLI EXPECTED GOAL
Josh Hope, Sebastian Ryall e Luke Chadwick sono solo alcuni dei nomi dietro alle storie di calciatori professionisti che hanno subito abusi per la loro esposizione quotidiana alla massa di tifosi, storie in continua crescita che vanno ascoltate per trovare una soluzione. Il crollo mentale è dietro l’angolo, anche per calciatori di livello internazionale come Josh Hope la cui vita sembra perfetta: non tifosi dunque, ma reietti che si sfogano sulle vite di altri per dare un senso alla propria.