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L’Atletico Nacional di Medellin ha segnato una generazione di sportivi colombiani, consegnando al calcio mondiale il mito dei ‘Puros Criollos’

C’era una volta in Colombia. Se dalle parti di Medellin un papà cerca di instillare la passione del calcio ai propri figli, questo potrebbe essere il classico preambolo della favola della buonanotte. Nel cuore della Colombia, in uno degli snodi commerciali più importanti del Sudamerica, il calcio è ragione di vita. La città si divide esattamente in due, spaccata da una rivalità che dura da quasi un secondo. Da una parte c’è l’Independiente – o DIM, come lo chiamano i suoi tifosi -, dall’altra l’Atletico Nacional.

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I Verdolagas sono la squadra più vincente della Colombia e, il loro nome, oltre a essere collegato a una serie di successi impressionante, è balzato all’onore delle cronache soprattutto negli anni Ottanta, quando la metropoli criolla era letteralmente ostaggio di uno dei cartelli del narcotraffico più violenti del mondo. Medellin contro Cali, l’altra città epicentro dello smercio di droga che andava a invadere gli Stati Uniti. Con il calcio sullo sfondo, utilizzato per rendere tollerabili le malefatte della malavita locale.

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Atletico Nacional, leggenda sudamericana

L’Atletico Nacional de Medellin raggiunge il suo apice negli anni di Pablo Emilio Escobar Gaviria. Medellin è ai piedi de ‘El Patrón’, che entra nei cuori della gente che, a un certo punto, decide di buttarsi addirittura in politica ottenendo riscontri clamorosi. Escobar piace perché parla la lingua del popolo, ma soprattutto ha del denaro da far girare e ama il calcio alla follia. Si deve soprattutto a questo, anche se la cosa non verrà mai confermata, la grande immissione di liquidità nelle casse dei Verdolagas.

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Che, nel 1989, vincono la tanto inseguita Copa Libertadores. Quella dell’Atletico Nacional è una cavalcata indimenticabile, cominciata sul campo dei Millonarios – che, assieme a LDU Quito ed Emelec componevano il girone di zona iniziale – e conclusa nella finale del Campin, dopo aver perso 2-0 in Paraguay, vincendo ai calci di rigore contro l’Olimpia. Un successo, quello ottenuto in casa dei rivali di sempre – l’Atanasio Girardot ai tempi non garantiva la capienza necessaria per ospitare una finale -, che proietterà nell’Olimpo del calcio locale alcuni giocatori e la figura di un grande tecnico.

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Maturana, il dentista di Medellin

Nel 1987 l’Atletico Nacional si trova a dover scegliere l’allenatore in grado di plasmare i cosiddetti ‘Puros Criollos’, ovvero una squadra composta interamente da calciatori di colombiani alla disperata ricerca di una guida, non solo tecnica ma anche spirituale. Nessuno immagine che tale figura verrà rispolverata da uno studio dentistico, eppure Francisco Maturana – che, fino ad allora, aveva avuto una sola esperienza in panchina – diventa il prescelto. Alla dirigenza dell’Atletico Nacional basta un solo colloquio per capire che ‘Pacho’ è quello giusto.

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Arrivato in sede, Maturana fa subito capire di essere un personaggio dallo spessore umano di altissimo livello. Un formatore, che però ha idee di calcio innovative. Per questo, a domanda precisa, consegna subito una lista della spesa e, in un paio d’anni, l’Atletico Nacional diventa una vera e propria potenza. Sotto la gestione di ‘Pacho’ esordiscono il pittoresco portiere René Higuita, il poderoso centrale Andrés Escobar, Luis Perea, il capelluto Leonel Alvarez e Carlos Valderrama. Con la cessione di quest’ultimo al Montpellier, Maturana perfeziona la sua macchina e va a dama.

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Il 1989 è probabilmente la stagione migliore della storia verdolaga. Il club alza la Libertadores e poi va a giocarsi la finale di Intercontinentale contro il Milan. Perdendo, certo, ma anche facendo conoscere al mondo una filosofia che ancora oggi vive nei cuori degli appassionati e, contestualmente, è ancora viva nella gestione societaria. I tecnici che hanno succeduto Maturana, infatti, hanno sempre sposato certi principi e, nel 2019, l’Atletico Nacional è tornato ad avere una rosa composta solo da colombiani.

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La caduta del mito: i ‘Puros Criollos’ si sgretolano

In Sudamerica, essere un ‘criollo’ significa portare con orgoglio i tratti distintivi delle popolazioni locale, onorando la memoria delle persone dalle quali si discende. L’Atletico Nacional aveva sposato tutto ciò come valore, trovando in Maturana il massimo esponente. Ma, come tutte le cose belle, prima o poi arriva la fine. Il mito dei ‘Puros Criollos’ è durata fino a metà anni Novanta, ma il processo di sgretolamento era cominciato già l’anno prima, nel post USA ’94.

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Andrés Escobar, perno della nazionale cafetera e dei Verdolagas, viene freddato da alcuni colpi di arma da fuoco fuori da un locale. Secondo le ricostruzioni ufficiali qualcuno lo fece fuori a causa dell’autogol segnato nel match contro gli Stati Uniti, che di fatto condannò la Colombia all’eliminazione. In realtà il movente non fu mai accertato, e difficilmente la verità verrà mai a galla. Fatto sta che la vicenda scosse tutti e fece aprire definitivamente gli occhi sul problema del narcotraffico.

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In quegli anni il governo colombiano cominciò così un profondo giro di vite, sgominando diversi cartelli. Non eliminò il problema alla radice, ma lo contingentò. Nel frattempo Pablo Escobar morì e il mito di Andres, che con il baffuto gangster condivideva uno dei cognomi più diffusi in Colombia, cominciò a vivere nell’immaginario collettivo.

Maturana, invece, ha girato il mondo, toccando quasi tutti i continenti. E, fino a un anno fa, allenava ancora nel seppur modesto campionato boliviano: “Ho sempre pensato che avrei allenato fino alla morte” dichiarò qualche tempo fa. Ma anche dopo, nessuno si dimenticherà facilmente del suo Atletico Nacional: i ‘Puros Criollos‘, a un passo dal conquistare il mondo, hanno a loro modo scritto un pezzo di storia del calcio sudamericano.

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