Zero punti in tre partite, un gioco che non decolla e una crescita identitaria ancora lontana: il Torino di Giampaolo è destinato a rimanere un buon progetto, ma solo sulla carta
La sconfitta in casa con il Cagliari ha acceso le prime spie in casa Torino. Tre partite perse, come non accadeva dal 2002, in una stagione che poi portò a una mesta retrocessione i granata. Che l’annata del Toro non sarebbe stata facile si era capito da subito: la salvezza ottenuta al fotofinish e tempistiche molto strette non hanno permesso alla società di staccare e riordinare le idee. E, inoltre, in un anno particolare come questo, si sapeva che cambiare radicalmente allenatore sarebbe stato rischioso.
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“Con la Fiorentina siamo stati inadeguati, con l’Atalanta ho visto miglioramenti, oggi siamo stati sfortunati” ha commentato Giampaolo dopo il 2-3 casalingo contro i sardi, che nell’arco dei novanta minuti hanno disposto a piacere della carcassa granata, affondando ogni qual volta arrivavano sulla trequarti con affondi e sovrapposizioni. Ormai non bastano più nemmeno i gol di Belotti: il Torino è in pericolo e, a due mesi dalla nomina del nuovo allenatore, c’è già da interrogarsi su quale sarà il futuro di una squadra che, mai come quest’anno, rischia grosso.
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Torino, ora serve pragmatismo
Perché il Torino non funziona? Una domanda, questa, che offre una sponda importante per buttare giù un’analisi un pochino più profonda. Partiamo con una considerazione generale: la ormai quindicinale gestione di Urbano Cairo al momento non ha praticamente mai avuto picchi al rialzo, anzi ha sempre messo la sostenibilità economica al centro di tutto.
Fare debito, per il Torino, è visto con accezione negativa, e questo impedisce di fatto che vengano fatti investimenti nel medio-lungo periodo. Il che cozza anche con la questione tempistiche: quando Cairo ‘concede’ tempo ai propri allenatori, lo fa con una concezione ascrivibile all’immediato, abituato a gestire aziende differenti da un club di calcio.
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Proprio per questo la scelta di chiamare un dogmatico come Giampaolo ha lasciato un po’ tutti basiti. Il fatto che Cairo fosse vicino a ingaggiarlo già in due occasioni precedenti testimonia come l’arrivo dell’abruzzese sia un desiderio che finalmente il presidente granata è riuscito a soddisfare. Ma, contestualmente, non è affatto detto che la metodologia di lavoro di Giampaolo si sposi con quelle che sono le esigenze della società . Dopo tre partite, il Torino deve forse già abbandonare pindarismi vari e tornare sulla terra. Lodevole tentare di giocare palleggiando, ma a un certo punto servono concretezza, pragmatismo e una sana dose di autocritica, ammettendo che forse tutto ciò non è fattibile.
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Numeri impietosi, doppia fase inesistente
Alla teoria seguono poi anche i dati di fatto. Il Torino, a oggi, produce poco e subisce troppo. A testimoniarlo sono i numeri: nelle prime tre partite i granata hanno messo insieme coefficienti xG insufficienti per pensare di poter muovere la classifica. In crescendo, certo – 0.62 contro la Fiorentina, 0.77 con l’Atalanta fino al 1.22 contro il Cagliari -, ma assolutamente negativi. Inoltre, la squadra è tra quelle che entra meno in area avversaria di tutta la Serie A, oltre ad aver una media di realizzazione molto bassa. Tutte cose sulle quali Giampaolo sta lavorando ma che, nonostante i calciatori in campo cerchino di tradurre i dettami in gioco, al momento non sono ancora state assimilate.
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Sicuramente non ha aiutato il cambio di modulo: il Torino arrivava da anni in cui, a eccezione della parentesi Mihajlovic, la squadra era stata costruita secondo certi ragionamenti. La gestione Ventura aveva permesso ai granata di virare definitivamente sulla difesa a tre dopo un inizio con il 4-2-4, poi Mazzarri ha fatto il resto: così Giampaolo si è trovato, in poco tempo, a dover rivoluzionare non solo la parte tecnica – vista l’intenzione di privilegiare la qualità al posto della quantità – ma anche quella tattica. E il processo sta andando a rilento, com’è normale che sia: “Il mister ha tempo e fiducia” ha detto a più riprese Cairo, ma se i punti non arrivano – e venerdì il Toro va a Sassuolo – per il tecnico si fa dura.
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Un mercato confuso e il miraggio Torreira
Poi c’è la questione legata agli uomini. L’ultima sessione di mercato è stata molto particolare, perché di soldi se ne sono mossi pochi e andavano colte certe occasioni che il Toro non ha saputo sfruttare. Nonostante l’inizio sia stato promettente – nelle prime settimane sono arrivati Rodriguez, Vojvoda e Linetty -, il mercato granata è finito in stand-by quando ci si è arenati sulla questione regista. Per quasi due mesi si è stati dietro Torreira ben sapendo che, solo con la promessa di un riscatto oneroso, l’Arsenal non lo avrebbe mai lasciato partire. Così, giorno dopo giorno, ci si è convinti a forza che Rincon, lì davanti alla difesa, andasse bene.
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Giampaolo è un allenatore abbastanza integralista e le sue squadre, per rendere, hanno bisogno di un nucleo centrale di livello. Al Torino manca un trequartista in grado di interpretare anche il ruolo di regista offensivo: saltato Ramirez, si è provata la scommessa last minute con il bosniaco Gojak, che però Giampaolo ha già detto di vedere più come mezzala. Verdi è sulla carta la mezzapunta titolare: ergo, un altro calciatore adattato. E come spalla di Belotti, anziché un attaccante rapida di dare profondità e portargli via il difensore, ci sono un’altra prima punta (Zaza) e un ibrido al momento incollocabile (Bonazzoli). Con queste premesse, è logico che Giampaolo possa fare il giusto. Che però non basta.
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Obiettivo salvezza con un monte ingaggi record
Il Torino, in sintesi, ha imboccato un sentiero che dovrebbe portarlo, col tempo, a rivoluzionare la propria attitudine in campo. Iniziativa lodevole ma che potrebbe non essere fattibile all’atto pratico. E puntare il dito adesso non serve a nulla: come detto in precedenza, è probabile che il profilo dell’allenatore non sia compatibile con quelle che sono le intenzioni e la visione aziendale di Cairo. Che, precisiamolo, è comunque quello che mette l’ultima parola su tutto, perciò l’eventuale fallimento del progetto legato al tecnico abruzzese sarà principalmente ascrivibile a una scelta sbagliata da parte sua.
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Di certo, in questo momento, l’unica cosa certa è che di passi avanti non se ne sono visti e farsi a tratti dominare dal Cagliari in casa è indicativo di come il processo di maturazione stia procedendo troppo a rilento. Dopo gli ammutinamenti dello scorso anno, con il Torino che ha rischiato seriamente di retrocedere, è stato giusto provare a cambiare l’aria, ma si sarebbe dovuto intervenire in maniera più pesante e profonda.
Non c’erano i tempi, vero, ma questo conferma solo come le strategie della società si siano ancora una volta dimostrate approssimative. E, in tutto ciò, Giampaolo centra marginalmente. L’obiettivo non può quindi che essere ancora una volta la salvezza, ma con l’ottavo monte ingaggi della A. Forse c’è qualcosa che non sta andando come dovrebbe.
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