Il 16 ottobre 1953 nasceva Paulo Roberto Falcao, fuoriclasse brasiliano simbolo della Roma degli anni Ottanta, campione d’Italia e finalista europea. Questa è la sua storia.
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I Re di Roma sono sette, ma di ottavi ce ne sono stati diversi: il primo fu Amedeo Amadei, negli anni Quaranta; l’ultimo Francesco Totti. In mezzo, ci fu Paulo Roberto Falcao, protagonista della resurrezione della Roma negli anni Ottanta, che segnò il punto più alto della storia del club giallorosso.
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Un brasiliano in Italia
Padre portoghese e madre brasiliana con antenati calabresi, Paulo Roberto Falcao si mise presto in mostra con la maglia dell’Internacional di Porto Alegre, che negli anni Settanta visse un periodo di particolare splendore, vincendo i suoi primi tre titoli nazionali. In quella squadra giocavano calciatori di grande livello come Batista (che poi avrebbe giocato anche con Lazio e Avellino), Paulo Cesar Carpegiani e Valdomiro.
Falcao era un regista elegante con un innato senso tattico, antesignano di quel tuttocampista che poi sarebbe stato reso celebre in epoca più recente da giocatori come Xavi e Iniesta. Fu soprattutto verso la fine del decennio che raggiunse la piena maturazione, vincendo due volte la Bola de Ouro come giocatore brasiliano dell’anno, conquistandosi un ingaggio in Europa.
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Non era insolito che ottimi giocatori brasiliani si trasferissero in Italia, ma raramente si trattava di campioni noti nel giro della Nazionale. Soprattutto non nell’ultimo decennio, in cui la Serie A aveva chiuso le frontiere agli stranieri, riaperte finalmente nel 1980. Il passaggio di Falcao alla Roma segnò un punto di svolta nei rapporti calcistici tra Brasile e Italia: la Serie A si qualificava come un campionato ricco e ambizioso, che nel giro di poco sarebbe divenuto il più importante d’Europa, e i campioni verdeoro iniziavano a lasciare il Brasile, cedendo le sirene del Vecchio Continente.
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Falcao, Re di Roma e apripista del Brasile
A proposito di cambiamenti: la Roma veniva da anni di anonimato; non vinceva il campionato dal 1942, e l’unica affermazione nelle coppe europee era stata nel 1961 con la Coppa delle Fiere, ma le cose stavano per cambiare. Il presidente Dino Viola aveva scelto di investire molti soldi per rinnovare la squadra, e nel 1979 aveva richiamato in panchina il rivoluzionario allenatore zonista Niels Liedholm, che aveva portato i giallorossi a vincere la Coppa Italia, mancante dalle bacheche capitoline da undici anni.
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Falcao doveva essere il colpo in grado di cambiare il volto di una squadra che vantava già ottimi elementi: Franco Tancredi tra i pali, il giovane mediano Carlo Ancelotti, l’esperto mastino Romeo Benetti, il capitano Agostino Di Bartolomei, il geniale Bruno Conti e la prolifica punta Roberto Pruzzo. La Roma chiuse seconda in campionato e rivinse la Coppa Italia.
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— Luca Pelosi (@Luca_Pelosi) August 9, 2020
Con altri innesti mirati, come il difensore del Genoa Sebino Nela e il centrocampista austriaco Herbert Prohaska, Liedholm riportò la Roma a vincere lo scudetto nel 1983, annata in cui Falcao si consacrò come assoluto protagonista in maglia giallorossa e come uno dei migliori centrocampisti al mondo.
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L’estate precedente, Falcao aveva rotto un tabù storico: venendo convocato per i Mondiali spagnoli, era divenuto (assieme a Dirceu, all’epoca all’Atletico Madrid) il primo nazionale brasiliano in Coppa del Mondo a giocare per un club europeo. Da questo punto di vista, Falcao fece da apripista all’approdo dei grandi talenti verdeoro in Serie A: negli anni successivi, il campionato italiano avrebbe accolto Toninho Cerezo (proprio alla Roma), Pedrinho (Catania), Socrates (Fiorentina), Leo Junior (Torino), Edinho e Zico (Udinese).
A un passo dal sogno europeo
Con l’aggiunta di Cerezo e del campione del mondo Ciccio Graziani, la Roma di Liedholm e Falcao lanciò l’assalto alla Coppa dei Campioni, in una stagione che l’avrebbe anche vista arrivare seconda in Serie A e vincere un’altra Coppa Italia. Purtroppo, il cammino europeo dei giallorossi s’interruppe ai rigori, in finale contro il Liverpool.
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Da un lato, fu la partita di Bruce Grobbelaar, il portiere zimbabwese dei Reds che inscenò un balletto sulla linea di porta durante, mandando in tilt i rigoristi della Roma. Dall’altro, fu l’episodio che segnò una brutta crepa nel mito di Falcao: nel momento più delicato della sua squadra, il brasiliano scelse di non partecipare alla lotteria dal dischetto, privando la Roma del suo miglior rigorista. Non era stata certo la migliore partita di Falcao, anzi decisamente una delle peggiori della sua carriera, e la sua storia alla Roma stava per chiudersi in malo modo.
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In contrasto con il presidente Viola per faccende contrattuali, nonché non più in perfette condizioni fisiche, Falcao lasciò la Capitale nel dicembre 1984. Tornò in Brasile, accasandosi al San Paolo, ma sebbene avesse solo 32 anni, disputò una stagione anonima con sole 10 presenze, pur vincendo il campionato statale. Nel 1986, infine, si ritirò e intraprese la carriera di allenatore, dopo aver segnato per sempre, sia nel bene che nel male, la storia della Roma.