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Il 14 ottobre 1968 nasceva Matthew Le Tissier, leggenda del Southampton e giocatore iconico per il suo stile e la sua fantasia, tanto quanto per la carriera quasi anonima. Ecco la sua storia.

Chiunque scriva di calcio online si è dovuto o si dovrà confrontare con Matt Le Tissier: è un argomento del quale è impossibile evitare di parlare, ma di cui tutti hanno già parlato e detto ogni cosa.

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Chi non ha vissuto quegli anni, probabilmente si chiederà pure perché ci sia un culto così diffuso di un giocatore che al massimo è arrivato settimo in campionato e ha trascorso tutta la carriera nel modestissimo Southampton, giocando appena otto sparute partite in nazionale. Eppure, il punto sta proprio qui: Le Tissier è il punto debole di ogni grande appassionato di calcio che si rispetti, che va al di là della logica, della tattica, dei titoli.

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Matt Le Tissier, il mito

“Di me hanno detto spesso che mi piaceva essere il pesce grande nello stagno piccolo. Sarò onesto: è vero.” È giusto presentarlo così, Matthew Le Tissier, con quella cornice quasi romantica che gli è stata cucita addosso: quella del fenomeno di provincia, che ha preferito passare 12 anni a Southampton piuttosto che accettare le offerte di Liverpool e Manchester United.

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Lo storytelling calcistico ci ha ricamato molto, sopra questa idea. Le Tissier come simbolo di un piccolo mondo antico che resiste stoicamente al passare del tempo, di quella vecchia cultura del football che ha portato un fuoriclasse come Stanley Matthews a passare la carriera in club di secondo piano e vincere appena una Coppa d’Inghilterra. Le Tissier come archetipo di quella che oggi chiamiamo resilienza.

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Il suo nome si lega a quello di un mondo che cambia. Sono gli anni Novanta, il Muro è caduto ed è sorta la Premier League, Tony Blair dice che esiste una Third Way nella politica, a metà strada tra i conservatori e i laburisti, e le radio sono piene dei suoni scostanti eppure accattivanti degli Oasis e dei Blur. Il Liverpool si eclissa, e Ferguson e Wenger gli rubano la scena. I gol di Shearer, Sheringham e Gascoigne ridefiniscono il concetto di domenica pomeriggio.

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In tutto questo, Matt Le Tissier si descrive come l’uomo in controtendenza. Fin dal nome, con quel suono francese tipico della sua terra, la piccola isola di Guernsey, dove ancora si parla una lingua di forte derivazione normanna: un piccolo mondo antico che resiste stoicamente al passare del tempo, e che Le Tissier si porta dietro fino nello Hampshire, sulla terra ferma, quando nel 1985 si accorda col Southampton.

Matt Le Tissier, il genio

“Nell’arco della mia carriera, l’aspetto e la forma fisica sono sempre stati un problema per gli altri.” La verità è che uno come Matt Le Tissier, in un Liverpool o in un Manchester United, non ci avrebbe mai potuto giocare. Non perché non avesse il talento, ma perché non avrebbe potuto incarnare lo spirito. Si dice che la sua dieta abituale fosse insalata affogata nel ketchup e un grosso piatto di patatine fritte, accompagnati da due tazze di Coca-Cola.

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E, a vederlo, non si stenta a credere che tutto ciò sia vero. La sua forma fisica non è probabilmente mai stata quella di un calciatore professionista, e in campo la sua presenza è sempre stata quella di un fantasista evanescente, che finché non ha la palla tra i piedi non può essere di nessuna utilità alla squadra. Per di più, sembra esserci qualcosa di sbagliato anche nella struttura fisica, sproporzionata e con il busto troppo lungo rispetto alle gambe, come un burattino difettoso.

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Eppure, nonostante avesse tutte le caratteristiche per rappresentare l’antitesi dell’eleganza, Le Tissier ha saputo creare un suo stile unico e irripetibile. Lo sua sostanziale indisciplina tattica, e un cervello che pareva fatto per uno sport completamente diverso dal calcio, lo rendevano indecifrabile tanto per i media quanto, soprattutto, per gli avversari in campo, sempre disorientati da un modo di giocare che non rientrava in nessuno schema mentale conosciuto.

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“Penso che molte persone tendano a non provare, per paura di fare brutta figura se falliscono, ma io ragiono diversamente. Non provo nessun grande imbarazzo nel fallire.” Ciò che ha reso Le Tissier un’icona del calcio è stata soprattutto la sua apparente leggerezza: la facilità – anzi, la nonchalance – con cui inventava gol e giocate fuori dal comune, quasi fosse un riflesso della noncuranza che dedicava agli allenamenti o a tutti gli altri aspetti della partita.

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Un giocatore di contraddizioni. Maestro indiscusso dei calci piazzati (un solo rigore sbagliato in carriera su 48 tirati: il 24 marzo del 1993 contro il Nottingham Forest), eppure anche specialista del controllo al volo, del palleggiare in mezzo a gabbie di avversari senza che il pallone toccasse mai terra. Il suo era un gioco di piccoli tocchi a un pallone che pareva sempre sul punto di scappar via, e invece gli restava saldamente in controllo. Poi i tiri, violentissimi, come fiammate improvvise.

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Internet abbonda delle sue variegate collezioni di gol sensazionali, fantasiosi, impossibili, che ammontano a 218 in 552 partite con i Saints: tutte in prima divisione, fino al 2002. Nessun titolo vinto, solo qualche trofeo indivisuale: Young Player of the Year, nella stagione 1989-90; appena due premi come calciatore del mese.

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Un calciatore che è un mistero per molti versi, e che razionalmente abbiamo ridotto alla sua qualità più immediata, i gol. L’autenticità del talento di Matthew Le Tissier, però, è un tesoro custodito unicamente dai tifosi del Southamtpton, club con il quale è praticamente un tutt’uno e di cui oggi è ambasciatore. Non è un caso che la sua ultima rete, allora, sia stata segnata il 19 maggio 2001, nell’ultima partita disputata al The Dell, il mitico stadio dei Saints, che sarebbe stato demolito dopo 103 anni di onorato servizio.

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