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Il 12 ottobre 1910, nasceva a Faenza Bruno Neri, centrocampista e intellettuale con un passato in Fiorentina, Lucchese e Torino, che fu poi partigiano durante la Resistenza.

Non tutte le storie di calcio sono uguali. Non tutte sono il racconto di imprese sportive, e non tutte si esauriscono al momento di appendere gli scarpini al chiodo. Quella di Bruno Neri è una di queste. Già noto per la sua carriera da calciatore, sarebbe in seguito diventato celebre anche per la sua morte in combattimento durante la guerra di Resistenza.

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Bruno Neri: centrocampista e intellettuale

Proveniente da una famiglia della piccola borghesia romagnola, Neri si avvicinò al calcio come tanti suoi coetanei, adolescente a cavallo dell’ascesa del Fascismo: nel 1926 entrò nei ragazzi del Faenza, la squadra della sua città, che all’epoca militava nella Seconda Divisione Nord.

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Accanto al calcio, però, Bruno Neri rivelava una passione per il mondo della cultura: studiava all’istituto agrario a Imola, e fin da ragazzo si interessava di arte e poesia, passioni che lo avrebbero accompagnato per tutta la vita. Anche da adulto, e pur giocando in Serie A, fu assiduo frequentatore di musei e incontri culturali.

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Nel 1928 si spostò in Toscana, al Livorno, e dopo poco si trasferì alla Fiorentina, dove da terzino destro si trasformò in mediano. Nel 1930, fu tra i protagonisti della prima storica promozione in A dei Gigliati, di cui fu il giocatore più presente in campo. Rimase in viola fino al 1936, vivendo ottime stagioni culminate con il terzo posto del 1935 e la semifinale di Coppa Italia dell’anno seguente.

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La Grande Lucchese e il quasi-Grande Torino

La stagione 1936-37 è però quella più significativa della carriera di Neri: passa alla neopromossa Lucchese, la squadra più anticonformista del periodo. Allenata dall’ebreo-ungherese Erno Erbstein, in rosa vantava alcuni più o meno noti oppositori del regime fascista: il portiere Aldo Olivieri, il centrocampista Libero Marchini (oro olimpico a Berlino) e la punta istriana Bruno Scher.

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Quella Lucchese è considerata oggi la migliore della storia delle Pantere, avendo raggiunto il settimo posto in Serie A. Bruno Neri, che nel frattempo aveva fatto il suo esordio in Nazionale, si trasferì poi all’ambizioso Torino del presidente Ferruccio Novo, e un anno dopo venne raggiunto da Erbstein e da Olivieri (che nel 1938 era il portiere titolare dell’Italia campione del mondo in Francia), e da Marchini nel 1939.

I granata della fine degli anni Trenta sarebbe stato la base su cui Erbstein avrebbe poi costruito il suo capolavoro, il Grande Torino. Neri fu il leader di quel primo tentativo di creare un Toro vincente, sfiorando lo scudetto già nel 1939. Ma nel 1940, a un passo dalla guerra, il sogno si infranse: Erbstein dovette abbandonare l’incarico a causa delle sue origini ebraiche, e Neri, appena trentenne, decise di mettere da parte il calcio e aprire un’officina meccanica.

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Il calcio e la guerra

Bruno Neri tornò a calcare i campi nella stagione 1943-44, di nuovo nel suo Faenza. La guerra era andata molto male, e ora l’Italia si ritrovava divisa in due, con gli Alleati al Sud e i Nazifascisti al Nord. L’Appennino Tosco-Emiliano, dove viveva Neri, era praticamente la linea di confine tra i due schieramenti. Il calciatore, a quel punto, divenne partigiano con il nome di battaglia di Berni.

Si era avvicinato agli ambienti antifascisti grazie a un cugino che faceva il notaio a Milano, ma già nel 1931, durante un match della Fiorentina, si era rifiutato di fare il saluto romano alle autorità. Divenuto vice-comandante del Battaglione Ravenna, Bruno Neri morì in uno scontro a fuoco con dei soldati tedeschi il 10 luglio 1944, nei pressi dell’eremo di Gamogna, dove tutt’oggi c’è una lapide che lo ricorda.

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