“Il Picasso del calcio”. Così Michel Platini definì Claudio Borghi il giorno dopo la gara di Coppa Intercontinentale che la Juventus vinse contro l’Argentinos Juniors guidato proprio dal giocatore argentino. Era evidente a tutti che stava per nascere una grande stella. Purtroppo, essa finì per disintegrarsi presto contro la nostra atmosfera.
Allenatore carismatico e vincente, Borghi non mantenne invece le promesse da giocatore: talento sopraffino e piede delicato, finì per pagare a caro prezzo un’esperienza italiana assolutamente disastrosa, non solo per demeriti suoi ma anche per via di chi non seppe credere in quella classe tanto abbagliante quanto, evidentemente, inutilizzata.
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La carriera di Claudio Borghi
Nato nel 1964 a Castelar, Claudio Borghi deve fare subito i conti con un’esistenza difficile e volta al sacrificio. Perde il papà dopo pochissimo tempo e nella giovinezza è costretto ad affrontare i più umili lavori per portare a casa la pagnotta. Riesce comunque a realizzare il suo sogno di diventare un calciatore professionista ed è proprio l’Argentinos Jrs la squadra che gli regala la possibilità di farlo. Borghi esordisce nel 1982 e le sue prestazioni si rivelano subito intriganti: il suo ruolo di centrocampista offensivo gli consente di svariare dietro le punte creando gioco e dispensando magia.
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Immediatamente viene individuato come una delle possibili future stelle dell’Argentina, una promessa destinata a diventare certezza. Borghi è un gran lavoratore, una persona con uno stile di vita rigido. Un mormone praticante, lontano da alcool e fumo e che non ebbe rapporti sessuali prima del matrimonio. Anche per questo la critica apprezza Borghi, visto come un ragazzo ligio al dovere e pronto a dedicarsi anima e corpo al mondo del calcio. Lo stesso Borghi divenne famoso per essere uno dei principali “inventori” della rabona, poiché sostenne in un’intervista di non saper calciare in alcuna maniera con il sinistro.
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La rabona gli serviva, appunto, per “dare un senso” al piede d’appoggio. Inevitabilmente, le belle prestazioni con il suo club di aprono le porte della Nazionale del suo Paese: con l’Argentina Borghi giocherà 9 partite nel biennio 1985-1986, siglando una rete. Parteciperà alla spedizione Mondiale vittoriosa in Messico, senza però onestamente dare un apporto decisivo (giocherà a stento due scampoli da gara). Dopo il Mondiale, Borghi non venne più convocato dalla Nazionale.
L’arrivo al Milan di Silvio Berlusconi
Con un piccolo passo indietro torniamo a quella gara del 1985. La Juventus è nel complesso più forte ma Claudio Borghi fa la differenza praticamente da solo. Gioca una partita perfetta, probabilmente (anzi, sicuramente) la migliore della sua carriera. La Juve prevarrà solo ai rigori. E poi giù con gli attestati di stima. Ormai la strada per Borghi è spianata, manca solo il grande salto nel calcio che conta. Un salto che arriverà due anni dopo, nel 1987. Dopo aver stupito tutti in Argentina vincendo con l’Argentinos Jrs due campionati, una Copa Libertadores e due Coppe Interamericane, Borghi viene acquistato dal Milan di Silvio Berlusconi, innamoratosi di lui dopo la stupenda prestazione contro i bianconeri.
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Un regalo che il Presidente vuole farsi a tutti i costi e che gli costerà 3,5 miliardi di vecchie lire. Borghi arriva a Milano con grande speranza: il Milan può essere una tappa fondamentale della carriera volta a lanciarlo nell’Olimpo del Calcio consacrato. Il problema è che Borghi deve fare i conti con un problema non da poco, evidentemente sottovalutato dalla proprietà rossonera. All’epoca in Serie A nessuna squadra poteva avere in rosa più di 2 stranieri, Borghi risultava essere il terzo. Gli altri due erano Ruud Gullit e Marco Van Basten.
Il passaggio al Como
La concorrenza è semplicemente devastante e, ovviamente, Borghi non può giocare nel Milan. Il club così è costretto a cederlo in prestito ad un’altra squadra per farlo crescere, con l’intenzione di riportarlo poi all’ovile al termine della stagione. E così, in maniera piuttosto repentina, Borghi viene ceduto al Como. Resta un’occasione per dimostrare al calcio italiano le sue qualità. Purtroppo però la stagione di Borghi sarà soporifera e grigia. Appena 7 le presenze in campo, 0 le reti in stagione. Il talento pare rinchiuso in uno scrigno che le difficoltà del calcio italiano rendono impossibile da scalfire.
La stagione al Como passa dunque in sordina, Claudio Borghi è ancora di proprietà del Milan. Berlusconi è ancora disposto a dargli la chance per giocare a San Siro, forte anche del fatto che nel corso dell’anno si è deciso di poter dare ad ogni squadra uno straniero in più. Di tutt’altro avviso però è il tecnico Arrigo Sacchi. Il futuro C.T. della Nazionale gli dà il colpo di grazia definitivo chiedendo espressamente alla società di acquistare come terzo straniero Frank Rijkaard, che completerà così il Milan degli olandesi.
Sentenza immutabile: prima ancora di iniziare, la storia di Claudio Borghi al Milan è già terminata. E con lei anche la carriera ad alti livelli dell’argentino. Borghi giocherà infatti per tante altre squadre (tra le quali River Plate, Colo Colo e Flamengo) senza però mai lasciare il segno nonostante alcune vittorie di squadra (Coppa Interamericana e Recopa Sudamericana con il Colo Colo).
Gli scontri con Sacchi e la vita da allenatore
Al termine della carriera da calciatore, Claudio Borghi iniziò ad allenare in Cile vincendo con il Colo-Colo quattro campionati. Si sposta poi in Argentina prima all’Independiente e poi all’Argentinos Juniors dove conquista il Clausura 2010. La vittoria gli vale la panchina del Boca Juniors dove però non riesce a ripetersi lasciando l’incarico dopo soli sei mesi. Dopo aver allenato il Cile al posto di Marcelo Bielsa, è ritornato sulla panchina dell’Argentinos Jrs e poi all’LDU Quito, in Ecuador, ultimo club allenato.
Una vita da allenatore che contrasta con la concezione di calcio di Claudio Borghi. Lo stesso è diventato famoso per una domanda ad Arrigo Sacchi durante un allenamento in maglia rossonera: “Perché correre per 5.000 metri se un campo da calcio è di 100 metri?”. Dopo aver lanciato numerose frecciate a Sacchi, con il tempo Borghi si è ricreduto e ha spesso sottolineato quanto la sua carriera in panchina (e come professore universitario) sia stata influenzata dall’esperienza e dagli insegnamenti di Arrigo Sacchi.
Resta troppo forte il rimpianto di quel “what if” in un calcio italiano che forse non lo ha capito, compreso ed aspettato a pieno. Ed il Milan resterà per sempre soltanto una meravigliosa illusione durata un’estate. Perché anche i Campioni del Mondo piangono.