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Zvonimir Boban e quel calcio sferrato ad un agente serbo al centro di un campo di calcio: quando sport e storia si fondono, ne nascono eroi che inspiegabilmente  avevano già il crisma delle future leggende. Boban, a soli vent’anni, vestiva la fascia di capitano della Dinamo Zagarbia in una Jugoslavia al collasso finale, e il 13 maggio del ’90, alle porte dei mondiali che non giocherà (spoiler), farà il giro del mondo.

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Un mondo multipolare

Siamo all’inizio degli anni novanta e nel mondo la Guerra Fredda si sta ormai stemperando, il muro di Berlino è caduto l’estate precedente, mentre l’Urss sta affrontando il difficile passaggio tra il presidente Gorbachov e  Boris Eltsin, futuro leader della Russia degli anni novanta.

Facendo un passo più a ovest però, precisamente nei Balcani, la situazione in Jugoslavia si sta scaldando particolarmente: dopo la morte del dittatore Tito nel 1980, le varie nazioni comprendenti la repubblica federale hanno visto esacerbarsi i conflitti nazionalisti al loro interno e, sopratutto Slovenia e Croazia, hanno intrapreso il percorso verso l’indipendenza che arriverà proprio in questi anni.

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Scoppierà tutto nel 1990, per poi continuare a fasi alterne fino al 1995, una guerra della durata di cinque anni, seguita poi dalle ribellioni in Kossovo, che caratterizzerà la fine della repubblica di Jugoslavia e l’approdo a una nuova realtà per i tormentati Balcani. 

In tutto questo, il sette maggio 1990, Tujman vince le prime elezioni libere in Croazia fomentando il distaccamento di quest’ultima dalla repubblica federale di Jugoslavia. 

Boban, la Dinamo e le Tigri

In questo scenario pre apocalissi un uomo, Zvonimir Boban, legherà calcio e storia in un connubio dalla doppia valenza: quante volte abbiamo sentito dire, anche alla leggera, che il calcio – o lo sport in generale – rappresenta la metafora dell’esistenza stessa?

Tralasciando tutto ciò che dietro. Questa frase ci possa essere di ovvio, entriamo nella potenza storica del 13 maggio 1990: quel giorno, a due giornate dal termine del campionato regionale di Jugoslavia, a Zagabria si giocava in serata la sfida tra i padroni di casa della Dinamo e gli avversari prossimi campioni della Stella Rossa di Belgrado.

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I serbi, animati da un tifo incendiato dai miliziani delle Tigri di Arkan e da soldati di quello che si costruirà come esercito serbo una volta smantellata l’ex repubblica federale, si presentano nella capitale croata divisi in due milizie: la prima, arrivata in città il giorno prima, si dedicherà a collocare targhe serbe sulle macchine intorno allo stadio così da costringere i croati a distruggerle nella guerriglia che seguirà la partita, i secondi interverranno nel pomeriggio prima del match distruggendo parte dei cartelloni pubblicitari intorno allo stadio e incendiando l’aria pre partita. 

Guerriglia e Zvonimir Boban

Un esito già scritto che non fa neanche cominciare la partita: mentre i giocatori scendono in campo, i miliziani (doveroso chiamarli in questo modo) della Stella Rossa iniziano a lanciare seggiolini contro i tifosi avversari nella totale indifferenza della polizia.

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I tifosi di casa, stanchi di un simile comportamento, sconfinano in campo protestando contro la Serbia e contro il trattamento che la polizia sta riservando alla situazione. In brevissimo tempo, le forze dell’ordine – serbe e montenegrine per volere di Tito all’alba della seconda costituzione jugoslava, si rivolteranno contro i tifosi della Dinamo Zagabria, lasciando campo libero alle Tigri di Arkan.

Boban

É in questo clima che Zvonimir “Zorro” Boban scalerà le vette della notorietà storica con un gesto che rimarrà per sempre identificato alle masse come primo atto della guerra di Jugoslavia. Boban, incastrato nella guerriglia scatenatasi al centro del campo tra i tifosi della Dinamo e la polizia, scatterà contro un esponente delle forze dell’ordine intento a malmenare un giovane tifoso. Boban sferra un calcio al poliziotto iscrivendosi di diritto alle pagine della storia della Guerra degli anni novanta, venendo poi tratto in salvo da tifosi e dai dirigenti della Dinamo. 

“Ho reagito a una grande ingiustizia, così chiara che uno non poteva rimanere indifferente. Quando il poliziotto mi ha colpito, ho risposto”

Fine e Inizio

La guerriglia in quel 13 maggio 1990 terminerà a notte fonda con 138 feriti e 147 arresti, e un treno, quello della notte, che porterà i supporters della Stella Rossa a Belgrado, lontani dai “Bad Blue Boys” della Dinamo inferociti per quanto accaduto.

Tale episodio, in cui Boban si fece latore di una verità che stava esplodendo pian piano nel mondo europeo e non solo, fu il prodromo di una guerra durata cinque anni in cui il calcio, entratovi già l’anno precedente durante una partita tra Partizan Belgrado (a squadra della polizia serba) e la Dinamo Zagabria, entrerà un’altra volta. 

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Il 26 settembre del 1990, a Mondiali finiti con Boban squalificato per sei mesi per quel gesto di insubordinazione verso la polizia, si giocherà l’ultima partita del campionato jugoslavo: a Belgrado, in casa del Partizan, i tifosi della Dinamo Zagabria invadono il terreno di gioco chiedendo a gran voce la creazione della federazione croata. Nei tumulti che seguiranno, la bandiera jugoslava verrà ammainata, a favore di quella croata, che sventolerà sul campo del Partizan fino al termine delle agitazioni. 

“Darei tutto per la maglia della Jugoslavia, ma per quella della Croazia morirei.” 

Boban

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