Un fulmine a ciel sereno ha sconvolto il finale di stagione del Milan: Ralf Rangnick dice no. E la società offre a un biennale a Stefano Pioli
Otto mesi fa i primi discorsi tra il Milan e Ralf Rangnick avevano portato a una mezza fumata bianca: il dirigente tedesco, uno degli uomini di fiducia della multinazionale Red Bull, era pronto a sposare la causa rossonera. Rangnick avrebbe avuto carta bianca su tutto, dalla scelta dell’allenatore a quella sui calciatori che avrebbero composto il Milan del futuro. Un factotum, di fatto, con l’obiettivo di programmare una strategia tutta nuova che avrebbe rilanciato il club nel prossimo futuro.
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Rangnick si era imparolato con l’amministratore delegato rossonero Ivan Gazidis, e la sua scelta aveva portato prima alle dimissioni di Boban e, in seguito, scatenato le reazioni polemiche di Maldini, convinto a confermare Stefano Pioli in vista della prossima stagione. Alla fine l’ex bandiera rossonera ha vinto su tutta la linea: Rangnick, ufficialmente per ‘divergenze sulle strategie da utilizzare’, non firmerà con il Milan, che andrà avanti proprio con l’ex tecnico della Fiorentina.
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Milan, avanti con Pioli: i motivi della scelta
Stefano Pioli ha firmato un biennale con il Milan, suggellando così un periodo d’oro a livello di risultati con una riconferma che, fino a poche ore fa, non era affatto scontata. Arrivato sulle ceneri lasciate dalla (seppur breve) gestione Giampaolo, Pioli ha dapprima rimesso insieme i cocci rotti e poi provato a normalizzare un ambiente che, negli ultimi anni, sta vivendo un costante psicodramma sportivo.
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Poi, a gennaio, ha ricevuto in regalo Zlatan Ibrahimovic, integrandolo in una rosa che peccava di personalità ed esperienza. Le linee guida del fondo Elliott, d’altronde, erano chiare fin dal principio: precedenza ai giovani da lanciare e valorizzare, con top player che servono sì ad aumentare la qualità in campo, ma da acquistare (e retribuire) con parsimonia. Pioli ha soddisfatto le richieste della dirigenza, confrontandosi spesso con lo stesso Maldini che, dopo aver caldeggiato l’arrivo di Giampaolo, aveva suggerito anche il nome dell’ex allenatore di Lazio e Inter.
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Rinnovo meritato?
Il rinnovo di Stefano Pioli è realmente meritato? Se lo sono chiesti in tanti, in particolar modo tra i tifosi rossoneri, ed effettivamente la domanda è più che lecita. D’altronde non va dimenticato che i risultati attuali sono buoni, ma prima del lockdown il Milan aveva collezionato diverse magre figure in giro per l’Italia. Dalla sua, il tecnico ha il merito di aver consacrato, valorizzato e rilanciato diversi calciatori. Per esempio, l’esplosione di Theo Hernandez è dovuta in primis ai compiti che lo stesso Pioli gli ha dato.
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La libertà di spingere e sfruttare l’enorme pericolosità offensiva ha permesso allo spagnolo di diventare il miglior laterale mancino dell’attuale Serie A assieme all’atalantino Gosens. E che dire di Bennacer? Anima e cervello di un Milan che ha sempre avuto bisogno di pensatori nel cuore della manovra. Da quando l’algerino gira a pieno regime, anche Kessié sembra essere ritornato sui suoi standard abituali. Infine, non si può non citare Ante Rebic: desaparecido nella prima parte di stagione, imprescindibile con i suoi gol nel girone di ritorno.
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I dubbi sulla conferma
Tra i motivi che hanno spinto Rangnick a dire no e la società a confermare Pioli, c’è sicuramente il fattore sportivo. Il Milan è una delle squadre più in forma da quando, a fine giugno, la Serie A è tornata in campo per terminare una stagione molto particolare. I rossoneri hanno totalizzato 23 punti in 9 partite, battuto Lazio e Roma, pareggiato col Napoli e brutalizzato la Juventus, senza mai perdere. Numeri importanti, che però vanno contestualizzati.
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Il Milan di Pioli, infatti, ha cominciato a ingranare solo dopo la sosta, in condizioni particolari e, soprattutto, quando paradossalmente non aveva più nulla da chiedere al campionato. Perché se è vero che oggi è la favorita per il quinto posto, e che molto probabilmente strapperà il pass per la prossima fase a gruppi di Europa League, è anche vero che le premesse stagionali erano ben altre.
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Che il ruolo di Pioli fosse quello di traghettatore è testimoniato anche dal fatto che il club ha parlato per mesi con Rangnick, prima di tornare sui propri passi. Chi ci dice che questa non sia, a suo modo, una scelta affrettata? Ma, soprattutto, il copione sembra lo stesso delle ultime stagioni, passate a saltare da un allenatore all’altro senza soluzione di continuità. Pioli rappresenta la strategia giusta per rilanciarsi o serve solo alla società per tornare a guardarsi intorno in attesa di una nuova suggestione?
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Un progetto che non decolla
Già, perché il nodo è proprio questo: il Milan ha bisogno di voltare definitivamente pagina e affidarsi ad allenatori come Pioli, per quanto siano preparati, significa non volersi ancora distaccare del tutto dalla realtà che ormai da anni paralizza i rossoneri nelle sabbie mobili della metà classifica. Gli amministratori non hanno mai funzionato e, in tal senso, importare il modello Red Bull avrebbe significato dare un taglio netto col passato.
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Avrebbe funzionato? Non avremo mai la controprova. Di certo sarebbe stato interessante veder replicato in Italia un modus operandi totalmente lontano dalla mentalità di un calcio dove tempo e pazienza scarseggiano. E non solo da parte dei tifosi. Ma anche, anzi soprattutto, dagli addetti ai lavori, che mal sopportano ingerenze straniere in una realtà calcistica considerata – a torto – ancora di primissimo piano. Cosa che, ormai da troppo tempo, non è più.
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