giovedì, Maggio 2, 2024

Tutte le colpe di Pioli 

Stefano Pioli è arrivato al capolinea della sua avventura rossonera e, con un derby ancora da giocare, la doppia sfida contro la Roma è sembrata l’epitaffio di un cumulo di errori di cui non si parla

Quando si analizza la situazione del Milan spesso e volentieri si racconta Pioli come di un allenatore lasciato solo da dirigenza e giocatori, artefice di un destino che non si è scelto, latore di uno scudetto conquistato contro i pronostici e vera vittima di una situazione incontrollabile. Intorno a lui sembra che il vuoto si dipani non appena l’ennesima sconfitta delle ultime due stagioni si concretizza al fischio finale: prima la dirigenza che non ha davvero una direzione, poi i giocatori che – uno dopo l’altro – sembrano aver perso il talento, o sembrano giocare contro le illuminanti idee tattiche dell’allenatore, o addirittura risultino non così forti come erano sembrati fino a pochi mesi prima. Il protagonista assoluto di questa mediatica gogna è Rafael Leao, numero dieci del Milan che in questa stagione sta vivendo la parabola di una ai più incomprensibile involuzione e che invece ha chiare responsabilità nella guida tecnica e tattica di un Milan disarmato. Riguardo Pioli, dicevamo, si è costruita una narrazione che lo compatisce, ne sottolinea i meriti, ne nasconde i demeriti e ne giustifica ogni caduta per mezzo delle responsabilità presunte di chi gli sta intorno.

Il problema è che chiunque abbia deciso di seguire le due stagioni successive allo scudetto rossonero, prestando attenzione alle singole partite dei rossoneri in Italia e in Europa, ha chiari alcuni punti su cui non possono intervenire né società né giocatori, ma che sono dovuti – per forza di cose – ad una gestione inadatta alla situazione. Dopo la doppia sfida contro la Roma sembra di essere arrivati ad un punto di non ritorno, causato da un derby sullo sfondo che potrebbe regalare lo scudetto all’Inter in caso di vittoria in casa rossonera. Uno scenario da incubo per il Milan e per i tifosi, che con Pioli in panchina non vincono un derby dalla creazione del mito “Si è girato Giroud” e che nelle ultime sfide si è dimostrato inerme nei confronti di una squadra avversaria capace di demolirne certezze e dubbi tutti in una volta. 

Il primo punto – che poi sarà anche l’ultimo della trattazione – ci parla dei derby di Champions League, vero problema della gestione Pioli perché non giocati dal Milan e non preparati dal tecnico rossonero. Vent’anni fa – quando sulle due panchine di Milan e Inter sedevano Ancelotti e Cuper – il derby europeo fu uno spartiacque per il futuro di entrambi: Ancelotti né uscì vincente e consacrato, Cuper sconfitto ed esonerato. Lo scorso maggio le condizioni societarie – con l’imminente cacciata di Maldini – non hanno permesso una simile soluzione, che avrebbe posto fine ad un ciclo già chiuso dal terribile gennaio 2023. Quel mese corrispose alla conclusione del ciclo di Pioli in rossonero: sconfitta nel derby di supercoppa per tre reti a zero, sconfitta esterna umiliante con la Lazio, sconfitta casalinga con il Sassuolo per cinque reti a due e altra sconfitta nel derby in trasferta per uno a zero, portando il computo a quattro gol subiti in due settimane dai cugini.

Il secondo punto riguarda invece gli infortuni: numeri esagerati di ricadute e problemi muscolari per una squadra che dovrebbe fare dei tre impegni a settimana la propria agenda consuetudinaria. Ogni volta – comprese le ultime due settimane – in cui il Milan ha giocato tre volte in una settimana almeno un giocatore ha accusato un qualche male particolare, un fastidio, un indurimento, un problema che ne ha pregiudicato la presenza e le prestazioni successive. Inutile indugiare sui numeri, il problema infortuni può essere esemplificato da Pierre Kalulu, demonio nell’anno dello scudetto e lungodegente dalla stagione successiva nonostante i ventitré anni all’anagrafe. 

In rapida successione arriviamo a due questioni strettamente legate: le scelte tattiche e il deserto produttivo a livello offensivo. Innanzitutto il post scudetto è stato caratterizzato dal tentativo tattico di accentrare i terzini ricalcando in questo la scelta di Guardiola di accentrare Joao Cancelo o quella di Klopp di rendere Trent-Alexander Arnold fulcro del gioco dei Reds. Pioli si è inventato Calabria e Theo Hernandez in questa tipologia di ruolo, chiedendo troppo ad entrambi e rendendone evidenti i limiti in un colpo solo. Calabria manca della qualità tecnica per creare gioco al posto di uno qualsiasi dei centrocampisti rossoneri, Theo ha bisogno di avere i piedi sulla fascia per prendere velocità e involarsi fino all’area avversaria. Scelte quindi discutibili che non hanno praticamente mai pagato e che spesso hanno esposto il Milan a contropiedi figli di quel 5-0-5 che i social sbandierano come peggior colpa dell’allenatore. 

Diretta conseguenza di questi cambi tattici rispetto all’anno dello scudetto – in cui il baricentro era più basso per sfruttare meglio le ripartenze e le qualità soprattutto della corsia di sinistra – le difficoltà nel produrre gioco offensivo di qualità. Il Milan di Pioli ha difficilmente mostrato idee offensive complesse che si allontanassero dalla consegna della palla prima ad Ibrahimovic e poi a Leao sperando che qualcosa  di positivo accadesse. Dopo l’addio dello svedese infatti, i rossoneri hanno spostato il baricentro della creazione del gioco sull’asse di sinistra responsabilizzando Leao e chiedendo a Theo un doppio lavoro offensivo e difensivo che ha effettivamente svolto nel modo migliore possibile. Il problema è che Leao non è Mbappé e – dopo una stagione in cui le sue incursioni non hanno trovato oppositori particolari – le difese avversarie si sono organizzate per raddoppiarne e triplicarne la marcatura obbligandolo a segnare gol come contro Atalanta e Sassuolo dopo essere uscito da dribbling complicati e isolati. Se quindi Leao in questa stagione segna così poco la causa – oltre che nella sua parziale indolenza – è da ricercare nella disposizione tattica scelta da Pioli, per la quale non vi è bisogno di creare le condizioni migliori per le qualità dei propri effettivi offensivi ma basta consegnargli la palla – magari sotto ritmo – per far sì che qualcosa costruiscano. Il resto della costruzione offensiva è oggi lasciata a Pulisic, vero e proprio colpo di mercato, che però non potrà sempre riuscire a districarsi tra difese impegnate a triplicare Leao e a curarsi di Giroud e Loftus-Cheek nel cuore dell’area di rigore. 

Pioli e le problematiche caratteriali

Infine gli ultimi due punti, legati a doppia mandata perché esuli da questioni tattiche o tecniche. Il Milan di Pioli – dopo aver perso Ibrahimovic – ha smarrito la bussola a livello caratteriale. I rossoneri hanno dato prova di attaccamento alla maglia certo, ma ogni debacle sportiva è sembrata coincidere con un terribile presagio di apatia sportiva già nei primi minuti della gara. Contro la Roma a San Siro – ad esempio – il Milan non è sceso in campo per i primi minuti, stessa situazione con il Sassuolo, e ancora con la Roma al ritorno. Con il derby tra pochi giorni, inutile ricordare quanto poco ci abbia messo Mkhitaryan a segnare in Champions League, aprendo quindi il discorso relativo all’approccio delle gare e alla situazione psicologica dello spogliatoio. 

Pioli non è riuscito a imporre un’idea, una convinzione comune, tanto che l’immagine più emblematica della vittoria scudettata è Ibrahimovic che ribalta il tavolo al centro dello spogliatoio di Reggio Emilia e non una qualsiasi delle foto di Stefano Pioli. 

La narrazione comune probabilmente avrà ragione tra qualche mese, qualora il Milan dovesse sbagliare allenatore e Pioli – nella sua nuova squadra – continuerà a centrare l’obiettivo minimo impostogli dalla dirigenza di turno. Ma la situazione ambientale ha messo fine già da tempo alla storia d’amore tra i rossoneri e il tecnico ex Fiorentina, e le colpe – per una volta – non sono tutte di Rafa Leao. 

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